Il segreto di Ida

Posts written by DanielaB

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    L_Daniela_Il_riciclo

    IL RICICLO



    Camminava avanti e indietro, a grandi passi, inquieto. Si avvicinò per l’ennesima volta al banco della reception.
    - Devo assolutamente conferire col capo, hai capito? - La voce tradiva l’urgenza che lo spingeva.
    L’impiegato alzò lo sguardo dal documento che stava esaminando.
    - Credi che sia sordo? - esclamò – Ho sentito e capito benissimo, ma ora non si può! - scandì le ultime parole e tornò all’occupazione precedente.
    - Guarda che se non mi annunci, saranno guai seri, soprattutto per te. La situazione è serissima, devo, capisci, devo conferire col capo!
    L’impiegato lo ignorò.
    Egli allora prese fiato, gonfiò il petto e iniziò un canto melodioso, di una dolcezza che giungeva subito al cuore. L’impiegato lo guardò e sorrise beato, perdendosi in quel suono che, però, aumentò di intensità fino a trasformarsi in un trillo acutissimo.
    Anche il sorriso dell’impiegato mutò, divenne una smorfia, le mani coprirono le orecchie, gli occhi si dilatarono per l’angoscia, le ginocchia si piegarono.
    Da una porta scorrevole fece capolino il capo.
    - Che succede qui? - chiese, asciugandosi le mani nel grembiule da cucina legato in vita – questo trillo farà senza dubbio sgonfiare il mio soufflé! Samuele, sai che non devi usare il tuo trillo per ottenere ciò che vuoi, vero?
    - Lo so, capo, me ne dispiace, ma era il solo modo per poterti avvicinare! Lui - aggiunse, indicando l’impiegato della reception, ancora turbato da quanto avvenuto, - non voleva farmi entrare, ed io dovevo assolutamente parlarti.
    Aprendo e chiudendo le ali, aggiunse:
    - Io ho già le ali, lui no. Dovrebbe ubbidirmi, credo. Approfitta del suo ruolo di receptionist.
    Il capo lanciò all’impiegato un’occhiataccia, poi fece entrare nell’ufficio Samuele, che gli mostrò subito il tablet.
    - Ecco, guarda questi due elenchi.
    Il capo lesse:
    - Anime disponibili 1386, future mamme a scadenza o quasi, 1486. Mancano cento anime.
    Alzò lo sguardo a incontrare quello di Samuele.
    - Sei sicuro?
    - Ho controllato e ricontrollato, la situazione è questa.
    - No, no, non va bene. – Esclamò il capo.
    - Ariel ha colpito ancora. Doveva sorvegliare il conteggio, evidentemente non l’ha fatto. Si lascia troppo coinvolgere dalle vicende umane, si affeziona e non ha il coraggio di mantenere il conto in pareggio, un’anima per un’anima, una deve arrivare e una deve andare.
    Il capo ne convenne.
    Samuele continuò:
    - Le anime da riciclare aspettano magari da secoli di ritornare in un corpo. Tra di loro c’è qualcuna che è stata anche sindacalista, non vorrei che si scatenasse una protesta!
    Il capo rabbrividì, soprattutto al pensiero di quello che avrebbe detto il Massimo Capo.
    - Ma… la Signora in nero, non ha detto nulla? Non si è manifestata? Non ha protestato?- chiese.
    E’ stata molto impegnata con questa storia del virus, deve aver perso il conto pure lei.
    Il capo sospirò.
    - Samuele, pensaci tu, risolvi la questione, vai da Ariel e comunicagli che, da ora fino a crisi risolta, lo affiancherai nel lavoro.- decise.
    Nelle sue mani apparve un foglio, che passò a Samuele.
    - Ecco, caro, questo è l’ordine di servizio. Ora torno in cucina, ho i membri anziani del Coro dei Serafini a cena, e voglio che tutto sia perfetto.
    Samuele volò da Ariel, che stava osservando dal suo tablet una regione della Terra.
    Gli presentò l’ordine di servizio. Ariel non protestò perché sapeva di essere in torto.
    - Cosa stai osservando, Ariel? – Chiese
    - La Francia. Nella zona di Nantes c’è un treno che corre velocissimo, ma vedo che il macchinista si sta sentendo male. Tra qualche chilometro c’è uno scambio che deve assolutamente fare, altrimenti si schianterà. Ora cerco la sua data di nascita, così avverto subito il suo angelo custode, impegnato in un’altra missione.
    Così dicendo, un altro tablet gli apparve tra le mani.
    - Il primo vagone sarà il più colpito, - mormorò Samuele – quanti sono a bordo?
    - Novantanove.- Rispose Ariel guardandolo con sospetto e coprendo con le ali il tablet, come per nasconderlo.
    - Lascia stare, - intimò Samuele – ci servono cento anime al più presto. Lascia che gli eventi seguano il loro corso.
    - Ma no, ma si possono salvare - balbettò l’angelo.
    Samuele gli mostrò l’ordine di servizio e la conta delle anime.
    - Dobbiamo sistemare le cose, non insistere, anche perché siamo in questa situazione per colpa tua!
    Entrambi osservarono il treno di Nantes finire la sua corsa contro un pilone.
    Le anime dei novantanove passeggeri deceduti uscirono dai corpi martoriati e furono radunate in gruppetti, ognuno capeggiato dall’angelo custode preposto, secondo le date di nascita. Dopo qualche secondo, una decina di anime fu allontanata. Erano anime cattive, che avevano causato molta sofferenza durante la loro vita. Sarebbero state scartate e gettate all’inferno, con biglietto di sola andata, per moltissimo tempo. Dopo aver scontato la pena e dopo un attento esame, forse sarebbero state riammesse in un corpo.
    - Uffa!- disse Ariel, - N mancano comunque undici.
    - No- esclamò Samuele- perché dieci mamme avranno problemi e i loro bimbi, per ora, non nasceranno vivi.
    - Ne manca una sola, quindi. - Concluse Ariel
    Improvvisamente tutto si oscurò, l’alito dei due angeli divenne ghiacciato e la sensazione di gelo penetrò fino alle ossa.
    - Devi proprio usare i tuoi effetti speciali anche qui, Signora in nero? Anche con noi? Sai bene che non ci spaventiamo: manifestati e finiscila! – Esclamò Ariel sbuffando e alzando gli occhi al cielo in segno di grande compatimento, mentre Samuele scuoteva la testa.
    - Mi piace preannunciare il mio arrivo, – rispose la Signora in nero, sistemando il giubbotto di pelle che le cingeva le spalle – è d’effetto, non trovate? - continuò compiaciuta.
    - Come no!? – esclamarono in coro i due angeli.
    - Dunque, ho sentito che manca un’anima.
    - Hai finito con le vittima del virus? – chiese Samuele.
    - Per ora sì. Medici e infermieri, oltre ai ricercatori, si sono dati un gran da fare. I contagi stanno diminuendo. Vi confesso che mi sono divertita un sacco, vittime da ogni parte, un lavoro pazzesco! – confidò la Signora in nero, stiracchiando le lunghe braccia.
    - Bene. Piglia un’altra persona e pareggiamo il conto delle anime.
    - No. Ho bisogno di una persona particolare, che voglio assolutamente con me.
    Prese il tablet di Ariel e lo sintonizzò su una casa in un paesino della pianura lombarda.
    - Quest’uomo è fantastico, marito e padre modello, dolce e comprensivo, innamorato della sua famiglia, ma malatissimo da molti anni. La moglie e le figlie lo curano con tutte le loro forze, ma lui è allo stremo e io lo voglio. – disse la Signora in nero.
    Ariel sbiancò.
    -Ma no,- disse- conosco il caso. Lascialo ancora un po’ ai suoi cari. Piuttosto c’è il vicino di casa, anni novantasei, cattivissimo, due tumori…
    - Ariel, vedi che tu non ragioni? – s’intromise Samuele – sarebbe giusto che Morte si pigliasse lui…
    Non finì la frase.
    - Prego, io sono la Signora in nero. – Esclamò – Morte è un vecchio nome che ora non voglio più usare.
    - Perché? – Chiesero i due angeli in coro.
    - Fatti miei! – Rispose Morte con sussiego, incrociando le braccia.
    Samuele e Ariel la guardarono con scetticismo.
    - Sai benissimo che ci basta chiedere un po’ in giro, alle riunioni dei cherubini, per esempio, e lo verremmo a sapere. Magari non con precisione, magari con quel pizzico di ironia che li caratterizza. Ti conviene? – chiese Samuele.
    - Sai i pettegolezzi, poi, sul fatto che non hai voluto dirlo! Quelli ne aspettano mezza per prendere in giro. Diventeresti lo zimbello dei cori angelici. – Aggiunse Ariel.
    Colta sul vivo, Morte confessò.
    - Il nome Morte è spesso associato a parolacce e odio. Mi sono stufata. Mi prega solo qualcuno che non regge più un’immane sofferenza, gli altri mi detestano. Anche qui, tanti mi evitano. - Piagnucolò.
    - Beh, - interloquì Ariel, - devi ammettere che non eserciti il lavoro migliore del mondo! - Dove vai tu, la gente piange, non ha più speranza.
    - Dici bene, tu, - sbuffò Morte – ma, come ho sentito in un film degli umani, “è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve farlo”.
    Samuele li riportò all’argomento principale e urgente, dicendo:
    - Ariel, lei non può prendere il vicino di casa cattivo, anche se sarebbe giusto, perché per lui è già pronto un bel posticino caldo caldo all’inferno, dove starà per tempo immemorabile, temo, prima di poter avere un altro corpo. A noi serve un’anima adesso, che possa dare vita al bimbo che nascerà a breve, e un’anima possibilmente buona, per contrastare quelle cattive.
    Le ali di Ariel si chiusero, a dimostrare il dispiacere per quella scelta.
    - Ma cerchiamo altrove, dai, - propose – quest’uomo ama la sua famiglia, gli amici, i parenti, e ne è molto amato.
    - Sì, ma vedi che indicibili sofferenze sta patendo? – chiese Samuele.
    Ariel si illuminò.
    - Ho un’idea! – esclamò – Inoltriamo la domanda per un miracolo!
    -Ah, no! – S’intromise Morte – Potrò dire la mia, dopo sto lavoraccio del virus? Mi dovete un occhio di riguardo, un po’ di considerazione, perbacco! Io lo voglio, capite? Lo voglio conoscere.
    Scettico, Ariel rispose:
    - Di’ la verità, piuttosto, dillo che lui ti ha sconfitta così tante volte che tu non l’hai proprio digerita!
    - Se anche fosse? – disse Morte – Prova tu, prova! Fegato sballato, tumore all’intestino, fungo cerebrale, ictus, infezioni alla gamba, ah, dimenticavo, caduta dall’albero! Gliene ho mandate tutte e di più. Niente, si è sempre salvato. La sua famiglia era sempre lì, a vegliare su di lui! Che smacco, per me, che sono la Signora in nero!
    - Un fisico forte, non c’è che dire! – Esclamò ammirato Samuele e aggiunse, fissando La signora in nero negli occhi bistrati – Morte, tu, però non hai detto tutto.
    La signora in nero distolse lo sguardo, si agitò nel suo giubbotto di pelle, si lisciò i pantaloni e confessò:
    - Vero, mi hai beccata! In realtà mi sono presa una cotta per lui e lo voglio conoscere, tenere con me per un po’.
    Ariel perse la sua calma angelica.
    - Non è corretto, non è! – gridò – Ti denuncerò al Gran Capo, ah puoi starne certa!
    Samuele mise fine alla discussione.
    - Vedremo più tardi, Ariel, ma ora ci serve un’anima che possa dar vita a un nuovo bimbo. E’ urgente.
    Morte sorrise, contenta, è sparì.
    Sulla Terra, in un paesino della pianura lombarda, una famiglia entrò nella più assoluta disperazione.

    Edited by Ida59 - 24/10/2020, 17:00
  2. .
    In pochi tratti ecco disegnati dei sentimenti che, penso, ognuno di noi ha provato. Spesso ci si crogiola nella nostalgia, si avvolge nel velluto, come a proteggerla. Il dolore che questo comporta, però, fa avvertire, a un certo punto, la necessità di cambiare orizzonti. Quando si affacciano “altre stelle” si è pronti a srotolare quel velluto e a lasciar andare i ricordi: comincia la guarigione. Questa poesia mi è piaciuta molto.
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    Bravissima! Complimenti!
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    Rielaborazione della storia di Raffaela "Apparenza" con finale alternativo.

    Seduto sulla panchina del parco in una giornata d'estate, un losco figuro smanettava sul cellulare. Aveva bicipiti muscolosi, tatuaggi ovunque, borchie sul giubbotto di pelle, capelli rasati un po' sì e un po' no. Scarponi da montagna guarniti da piccole catene. Alle dita, troppi anelli con teschi e croci, segnali di chi non chiede alla vita, ma prende.
    Tutto nell'uomo trasudava forza: lo sguardo che lanciava all'intorno e il continuo contrarsi della mascella non lasciavano presagire nulla di buono.
    Vicino ai suoi piedi un movimento veloce, come un'ombra che appare e scompare, attirò il suo sguardo.
    Dietro gli enormi scarponi apparve un uccellino in cerca di briciole.

    QUESTIONE DI KARMA



    …L’uomo distolse lo sguardo dalla bestiola, per lui insignificante. La mente altrove, si arrovellava e contorceva in un pensiero fisso, che non lo abbandonava da due giorni: aveva investito una donna ed era scappato, come un vigliacco.
    Tatuaggi e borchie non fanno un uomo, ora lo capiva sulla sua pelle. Prima di quella sera si sentiva invincibile e guardava gli altri, poveri idioti, dall’alto della sua sicumera.
    D’improvviso si accorse che l’uccellino, comparso poco prima, era volato sulle sue ginocchia e pareva fissarlo con uno sguardo carico di odio; chiuse gli occhi e li riaprì, convinto di essere suggestionato dal senso di colpa. Il volatile non se ne era andato, anzi, ora le piume sembravano arruffate e lo sguardo non era cambiato. L’uomo osservò perplesso il suo zampettare nervoso, ad ali spalancate, come se eseguisse una danza strana, ma decisa e bellicosa.
    Ammaliato da quello spettacolo, lo vide decollare e ne seguì il volo a naso in su.
    In quel momento, l’uccellino sganciò la sua prima ‘bomba’, seguita da altre in rapida successione. Il naso dell’uomo ne fu inondato e la ‘bomba’, quasi liquida, scivolò dal naso alla bocca, aperta per lo stupore.
    Visibilmente soddisfatta, la bestiola si posò su un ramo. Fu raggiunto da un martin pescatore che la rimproverò:
    “Non sono previste vendette, cara! Vuoi reincarnarti in un lombrico la prossima volta?”
    “Certamente no, Guida, no davvero!” rispose l’uccellino “Lui, però, mi ha investita, mi ha tolto la vita nel fiore degli anni, rendendo vani sogni e progetti. Una rabbia sorda mi ha presa, non ho resistito.”
    L’uomo sputò e risputò, si deterse la bocca, persino la lingua, dalla sostanza ripugnante. Si sentì sempre più un omuncolo, se anche un esserino senza importanza poteva sbeffeggiarlo e, preso da un profondo sconforto condito da una buona dose di vigliaccheria, si gettò dalla terrazza panoramica dove si era rifugiato. Nessuno se ne accorse, nemmeno i ragazzotti che, poco lontano, stavano giocando a tirare sassi contro un barattolo poggiato su un muretto.
    Poco distante un lombrico sbucò dal terreno e si nascose sotto una foglia. Inutile fuggire, l’uccellino sembrava aspettarlo, lo scovò e lo ingoiò soddisfatto, tornando poi ad appollaiarsi sul ramo.
    Un rumore sordo e la bestiola, colpita da un sasso, stramazzò al suolo.
    Poco distante, un altro lombrico sbucò dal terreno.
    “E’ il Karma, ragazza mia!” Esclamò il martin pescatore abbandonando il ramo.

    Daniela_-_Questoni_di_karma
    Foto di Richard Revel da Pixabay



    Edited by Ida59 - 16/5/2020, 14:47
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    Clara




    Disegnò le labbra carnose col solito rossetto rosso flaminio: costoso, resistente all’acqua e, soprattutto, ai baci.
    Terminata l’abituale operazione, la bocca sorrise allo specchio; gli occhi no, illuminati dallo sguardo determinato e feroce che appariva quando aveva ormai deciso il modo e il momento.
    Raggiunse il marito nel grande locale al piano terra, che ospitava sala da pranzo e salotto. Sulla tavola, già apparecchiata per la festa, spiccava una scultura di ghiaccio: un pescespada che dominava il mare di gamberi, salmone e capesante sparsi tra riccioli di burro e maionese, a imitare l’incresparsi delle onde.
    Gli amici arrivarono allegri e felici, carichi di doni per il festeggiato, suo marito.
    Lei dispensò sorrisi e baci, partecipò alle chiacchiere poco interessanti; si unì al coro un po’ stonato che gli augurava buon compleanno rigorosamente in inglese.
    Sorrideva e chiacchierava, ma ripassava mentalmente il piano perfetto: vedeva il marito seduto sul divano, la cravatta allentata, il respiro un po’ affrettato, gli occhi chiusi con la promessa di un’intima sorpresa ora che erano finalmente soli. Aspettava così, fiducioso, mentre lei gli accarezzava la nuca, poi il petto, scendendo con una mano fino alla costosa cintura dei pantaloni.
    Poi la spada appuntita del pesce di ghiaccio che, decisa e senza pietà, gli trafiggeva il collo.
    Avrebbe trovato il cadavere solo l’indomani mattina, al risveglio; l’arma del delitto ormai sciolta, introvabile.
    Un omicidio inspiegabile.
    Un delitto perfetto, un altro cospicuo conto in banca solo e tutto suo.
    Libera, piena padrona della propria vita e ricca, ricchissima.
    Nessuno avrebbe mai sospettato che dietro le lacrime disperate si celasse una vedova nera.
    Un sorriso beffardo balenò sulla rossa bocca sensuale al pensiero di come fosse facile raggirare gli uomini instupiditi dal sesso.

    Dopo aver scritto le ultime parole, l’autore del romanzo giallo si stiracchiò soddisfatto.
    L’arma del delitto, di ghiaccio, era un’idea geniale, vincente. La vedova nera, il suo personaggio preferito, l’avrebbe fatta franca ancora una volta. Gli restava solo da scrivere il modo in cui il finto aggressore era entrato, ma aveva già tutta la spiegazione in testa.
    Un sorso di caffè e si rimise alla tastiera, ma una voce implorante lo gelò.
    “No, Ernesto, questa volta no, ti prego!”
    Era in casa da solo, chi stava parlando? Spaventato, si girò. Da un angolo in ombra era sbucata una donna, il suo personaggio, la sua vedova nera.
    “Non è possibile!” Esclamò “ Sei irreale, non esisti!”
    Freneticamente risalì all’ultima volta in cui si era sparato una canna, erano più di dieci giorni, troppo per subirne ancora gli effetti.
    “Ernesto, l’amore mi ha aiutato a contattarti, lui può tutto, se ci credi fermamente. Mi sono innamorata di mio marito, perdutamente, non voglio ucciderlo, ti prego!”
    La donna piangeva, il trucco sbavato, gli occhi imploranti.
    Ernesto si intenerì.
    Si sentì padre e madre della sua creatura, forse più madre, perché la mamma ama incondizionatamente i figli da subito, dal primo istante.
    Un rapido ragionamento: dopotutto lui era l’autore, il deus ex machina, poteva decidere quel che voleva.
    “Va bene, Clara, cambierò il finale.” promise ”No, non è necessario che mi ringrazi, lo faccio esclusivamente per te”.
    Clara gli si avvicinò, mettendosi alle sue spalle, come per leggere il nuovo testo.
    Una spada di ghiaccio balenò nella mano destra.
    Lo scrittore si portò le mani al collo lanciando un grido straziante, la bocca contorta dal dolore.
    Immediatamente la porta si aprì, due braccia muscolose lo afferrarono e una siringa gli si conficcò nel braccio.
    “Ecco, dottore, è sedato.” Comunicò l’infermiere ”Questa scena si ripete ogni giorno; Ernesto si sdoppia, è se stesso e Clara, parla e si risponde, poi si contorce dal dolore; nessuno gli ha fatto del male, ma è come se lo stessero pugnalando: dobbiamo per forza sedarlo”.
    Il medico della clinica specializzata in malattie mentali assentì.
    “Questo caso di doppia personalità si è dimostrato anche refrattario alla psicoterapia. Il paziente non riesce ad ammettere il suo delitto: nel delirio interpreta se stesso e Clara, la moglie, che ha pugnalato dopo averne scoperto il tradimento. Chiederò un consulto, per ora non perdetelo di vista.”

    La porta si richiuse e una Clara sogghignante emerse dall’ombra, riprendendo il suo posto accanto a Ernesto.


    Daniela_-_Clara
    Foto di Luidmila Kot da Pixabay



    Edited by Ida59 - 18/7/2020, 21:02
  6. .
    Una delle mie poesie preferite è “L’assenza”, di Guido Gozzano, perché descrive, con il suo stile semplice e fresco, una sensazione che ho provato. Forse una delle prerogative della poesia è proprio questa, dare voce a sentimenti ed impressioni che tutti proviamo ma che, spesso, non focalizziamo.

    Un bacio. Ed è lungi. Dispare giù in fondo, là dove si perde
    La strada boschiva che pare
    Un gran corridoio nel verde.

    Risalgo qui dove dianzi
    Vestia il bell’abito grigio:
    rivedo l’uncino, i romanzi
    ed ogni sottile vestigio...

    Mi piego al balcone.
    Abbandono
    La gota sopra la ringhiera.
    E non sono triste. Non sono
    Più triste. Ritorna stasera.

    E intorno declina l’estate.
    E sopra un geranio vermiglio,
    fremendo le ali caudate
    si libra un enorme Papilio…

    L’azzurro infinito del giorno
    È come una seta ben tesa;
    ma sulla serena distesa
    la luna già pensa al ritorno.

    Lo stagno risplende. Si tace
    la rana. Ma guizza un bagliore
    d’acceso smeraldo, di brace
    azzurra: il martin pescatore…

    E non sono triste. Ma sono
    Stupito se guardo il giardino…
    Stupito di che? Non m i sono
    Sentito mai tanto bambino…

    Stupito di che? Delle cose.
    I fiori mi paiono strani:
    ci sono pur sempre le rose
    ci sono pur sempre i gerani…
  7. .

    Coinquilini



    “Fammi posto, spostati, su, dai!” mi sollecitò una voce risoluta.
    “Ma cosa diavolo…” chiesi infastidito e un po’ preoccupato
    Qualcosa si era infilato a forza nella mia bottiglia e si stava sistemando sul fondo.
    “Taci, non agitarti, ne va della mia vita!” disse quel qualcosa.
    “Non agitarti tu,” replicai risentito “mi hanno appena imbottigliato e tu stai rovinando il mio aspetto; vattene da qui, questa è la mia bottiglia!”
    “Senti, ti chiedo solo di stare qui un momento, finchè non se ne va, poi volerò via.”
    Guardai meglio e vidi una nebbiolina giallastra che cercava di acquattarsi sul fondo.
    “No, bello, non so cosa tu sia, ma te ne vai subito, stai rendendomi torbido e, per un vino pregiato come me, è un grosso difetto.”
    “Sssst! Sta arrivando!” mi zittì quel prepotente.
    Un’ombra grossa e scura riempì la cantina, passò sugli scaffali e sulla macchina imbottigliatrice, poi se ne andò.
    Il mio sgradito ospite si rilassò con un sospiro di sollievo; io non feci in tempo a prendere iniziative per ritornare unico inquilino della mia bottiglia, perchè il vinaio e il figlio si erano avvicinati e mi stavano guardando in un modo che non mi piaceva per niente.
    “Questo vino è torbido.” disse il vecchio esaminandomi attentamente “Strano, è di prima qualità, uno Chardonnay eccellente…”
    “Lo mettiamo nell’aceto?” chiese il ragazzo
    A quelle parole, il mio bouquet rabbrividì.
    “No, aspettiamo. Lasciamolo riposare al buio, poi vedremo.”
    Quasi immediatamente una mano prese la mia bottiglia e la depositò su uno scaffale lontano da ogni fonte di luce.
    “Adesso sarai contento, brutta schifezza che non sei altro! Mi hai rovinato!” urlai fuori di me. “Non potevi andartene quando te l’ho chiesto? Nossignore!”
    “No, no… Di nuovo prigioniero, qui, in una bottiglia!” piagnucolò la nebbiolina.
    “Sai cosa mi interessa di te! Io, io sono rovinato!” gemetti “Nato dai grappoli migliori, maturati al sole, colti durante la vendemmia notturna, a sedici gradi, in modo che gli operai lavorino nelle condizioni ideali per non sciupare tutto quel ben di Dio… E ora, insultato ingiustamente, accusato di essere… Torbido” le parole mi morirono in gola.
    La cosa si afflosciò, quasi implodesse.
    “Sono sempre stato un pasticcione e mi sono sempre messo nei guai. Mi dispiace.”
    Il tono della voce era così triste, le sue grinze così profonde e ingarbugliate, che mi fece quasi pena.
    “Dai, su!” dissi.
    “No, no, non cercare di consolarmi! Sono un Genio, ma sarebbe meglio dire il contrario! Faccio solo pasticci. Sai dove ho trascorso gli ultimi settemila anni? Chiuso in una bottiglia! Mi ero appena liberato e ora dove sono? Di nuovo in una bottiglia!”
    “Bel genio!” bofonchiai.
    “Quel mago maledetto! Non gli ho pagato le tasse, ma, capirai, settemila anni di inattività! Comunque, avrei preferito che riuscisse a catturarmi, piuttosto di essere di nuovo rinchiuso!”.
    Non sapeva quanto gli stessi dando ragione!
    “E poi ho rovinato anche te!”
    Angosciato per il mio futuro e stanco di sentire i suoi lamenti, gli sibilai a denti stretti quello che il ‘genio’ non aveva ancora capito.
    “Le tue sofferenze finiranno presto, perché, qualunque sarà il mio destino, toglieranno il tappo, e, appena lo faranno, tu potrai uscire e sarai libero.”
    “Oh! Che sollievo! Per sdebitarmi, ti aiuterò e vedrai… Potrei…”
    “No!” Lo interruppi, terrorizzato all’idea di cosa potesse combinare ‘aiutandomi’. ”No, grazie, non fare più niente per me, hai già fatto abbastanza.”
    Dopo un certo lasso di tempo non facile da definire stando in cantina, in una bottiglia, al buio con un genio depresso, il vinaio e il figlio tornarono.
    Il genio scappò appena stapparono la bottiglia; io fui esaminato per bene da ogni lato e, poiché il mio aspetto era tornato brillante e luminoso, mi tapparono.

    Ora sono qui, al prestigioso Concorso Internazionale dei Vini Bianchi; cosa ci fa una targa d’oro accanto alla mia bottiglia? Ma è lampante: sono il vincitore dell’importante manifestazione.


    Daniela_-_Coinquilini
    Foto di Daniel Wanke da Pixabay



    Edited by Ida59 - 23/6/2020, 14:22
  8. .

    L’importante è essere decisi


    Sono stata educata da un padre un po’autoritario; dico un po’ perché ascoltava le ragioni e le obiezioni che potevo avere, ma difficilmente cambiava idea e bisognava ubbidire.
    Voleva che fossi seria, capace di destreggiarmi nella vita, non pigra; a questo proposito ricordo ancora quando frequentavo l’università e, pur dovendo studiare per gli esami, mi attardavo a letto: entrava in camera mia fischiettando e poi diceva “alla sera leoni e al mattino coglioni, alzati, sono già le nove!”.
    Insomma, sono stata educata in modo da ammettere le mie debolezze, ma non arrendermi ad esse.
    Veniamo al dunque, alla causa del mio malessere.
    Appena presa la patente, ne ho combinate di tutti i colori, danneggiando, per fortuna, solo l’auto di famiglia e non le persone. Ho persino superato le auto ferme al lato della strada e trovandomi così faccia a faccia con un carro funebre. Ogni volta tornavo a casa dicendo che non avrei più guidato e mio papà mi ha sempre spronato a non arrendermi, a non fare come la mamma che aveva appeso la patente al chiodo.
    Ora mi trovo a dover andare fuori città e a guidare sull’autostrada.
    Panico. Ho paura. Vorrei andare, ma non me la sento. Posso chiedere agli amici un passaggio, ma poi sarei costretta a tornare quando vogliono loro. La mente si arrovella. Idea! Non vado. All’ultimo momento dirò che mi è venuta la febbre, sto male, mi spiace tanto, eccetera eccetera. Però sarebbe una bugia, eh no, le bugie non si dicono, e poi, vorrei proprio andare. Mi dico di calmarmi, manca una settimana, ho tempo per pensare a qualcosa, per convincermi.
    Non riesco a non pensarci. Dunque, l’autostrada: eccomi, mentalmente mi vedo, sono al casello; dovrò rallentare per fermarmi al momento giusto, avvicinarmi abbastanza per prendere il biglietto, ho il braccio corto. Oddio, e se non ci arrivo? Dovrò scendere. Che figura! Gli altri automobilisti suoneranno il clacson perchè rallento le operazioni. No, no, non ci vado. Che ansia! Mi manca il respiro; com’era quell’esercizio di training autogeno? Santo cielo, anche il mal di pancia, adesso! Ma devo star male ? Non ci vado, punto! Sono grande, faccio quello che voglio, perbacco!
    Vorrei tanto andare, però! Risento mio papà che mi sprona a non aver paura. Non fare la vigliacca!
    Riecco nella mia mente l’autostrada: il casello, i camion, i sorpassi. E se sbaglio l’uscita? Mi perdo, non ho il senso dell’orientamento. Si materializza il navigatore. Eh già! Lampo di speranza. Ma se non capisco le indicazioni? Mi pare di sentire la voce petulante: alla rotonda prendete la seconda uscita. Qual è? Come si contano le uscite? No no, non vado.
    “Scusate, ragazzi- mi sento dire- ho un impegno inderogabile, non posso venire”.
    Sì, un impegno con la mia insicurezza e la mia paura.
    Uff! Mi scoppia la testa. Su, coraggio, mi dico, tutti guidano sull’autostrada, ( curioso, solo ora capisco cosa significhi la parola autostrada, non ci avevo mai pensato) che ci vuole? Sei vecchia, sei laureata, dai! Uno sprint, vuoi non essere capace?
    No, non sono capace. Ho paura. No no, non vado. Impensabile, da sola, lì. Trovo una scusa e non vado, e che sarà mai!
    Sarebbe un fallimento, però. Ok, vado. No no, non vado, non posso farcela.
    Idea numero due: mi segno passo per passo la strada, da casa mia alla meta; andrò adagio, messa per bene sulla destra, non darò fastidio a nessuno. Non sorpasso. Non è mica obbligatorio! Il casello? Ci provo, se sbaglio e gli altri suonano, amen, chi se ne importa, non ho mai dato peso al giudizio degli altri. Ok, vado! Grazie papà!


    Lo stesso testo, scritto in seconda persona, lo trovate QUI.

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    Foto di Michael Kauer da Pixabay



    Edited by Ida59 - 2/4/2024, 18:51
  9. .
    Mi hanno regalato questo libro a Natale di un bel po’ di anni fa. Devo ammettere che non mi ha fatto piacere; letto di che si trattava sulla copertina, ho pensato fosse un libro noiosissimo, e l’ho messo da parte. Qualche tempo dopo, in un periodo in cui non avevo niente da leggere, mi è ricapitato in mano ed ho deciso di cominciarlo. Mi sono subito ricreduta, dandomi della sciocca perché avevo rischiato di perdermi una lettura interessante, piacevole e molto originale.
  10. .

    Quel momento particolare


    Stupore, spavento, paura, completa apatia. Non provava niente. Niente sentimenti, impressioni, niente. Era come anestetizzata. Si ricordò che, solitamente, prima di uscire di casa, faceva una specie di inventario: soldi, ci sono; portafogli, nella borsetta; fazzoletto, in tasca; finestre, chiuse; chiavi? Prese. Ok, check out fatto con successo, esco.
    Col pensiero, ora, agì nello stesso modo, ma dedicandosi al fisico:
    il cuore? Silenzioso, sembra non battere nemmeno;
    il respiro? Leggerissimo, più ancora di quando si dorme;
    le braccia inerti lungo i fianchi;
    le gambe distese. Gli occhi? Aperti.
    Era sparito anche l’insistente dolore al braccio che la tormentava da un po’.
    “Beh, ho fatto bene a non perdere tempo andando dal medico” si disse” Un momento… un momento...
    Mise a fuoco un volto a lei molto caro ed il sorriso che lo contraddistingueva.
    Apatia, stupore, gioia infinita. Check out fatto con successo. Ok, mondo, esco!

    sereno-66338_1
    Immagine tratta da www.ilcapoluogo.it/



    Edited by Ida59 - 3/12/2019, 11:18
  11. .
    Rielaborazione della storia di Raffaela "Apparenza" (parte in corsivo) con finale alternativo

    L’apparenza inganna



    Seduto sulla panchina del parco in una giornata d'estate, un losco figuro smanettava sul cellulare. Aveva bicipiti muscolosi, tatuaggi ovunque, borchie sul giubbotto di pelle, capelli rasati un po' sì e un po' no. Scarponi da montagna guarniti da piccole catene. Alle dita, troppi anelli con teschi e croci, segnali di chi non chiede alla vita, ma prende.
    Tutto nell'uomo trasudava forza: lo sguardo che lanciava all'intorno e il continuo contrarsi della mascella non lasciavano presagire nulla di buono.
    Vicino ai suoi piedi un movimento veloce, come un'ombra che appare e scompare, attirò il suo sguardo.
    Dietro gli enormi scarponi apparve un uccellino in cerca di briciole.
    Pian piano l’uomo estrasse dalla tasca un pezzetto di pane ed aprì la mano, posandola sulle ginocchia e offrendo il cibo all’uccellino.
    Un breve volo ed un corpicino affusolato, grigio con alcune piume rosso fuoco sul petto e sul capo, vi si appoggiò. Il becco, adunco ed importante rispetto alla piccola taglia, si immerse nel pane, le zampette si aggrapparono al palmo della mano artigliandolo. Il viso dell’uomo si contrasse in una smorfia di dolore, in breve il pane si inzuppò di sangue. L’uomo scosse la mano per scacciare la bestiola, ma questa lo guardò e cominciò ad arrampicarsi sul suo braccio, finchè, rapidamente, raggiunse il viso e si fiondò sull’occhio destro. Gridando di dolore e di spavento, l’uomo abbandonò la panchina, cercando di liberarsi della bestia.
    Troppo tardi. L’uccellino aveva divorato l’occhio ed era penetrato nel cranio; l’uomo si accasciò, morto.
    Sazia, la bestia volò via.
    Un refolo di vento mosse le foglie secche; una pagina di giornale si posò vicino al cadavere, come per sbeffeggiarlo; vi si leggeva: ” Probabile serial killer in città; trovati cadaveri con strane ferite alle orbite e senza occhi. La polizia indaga.”

    Daniela_Uccellino_mannaro



    Edited by Ida59 - 7/11/2019, 21:03
  12. .
    Aggiungo, allungo elenco pubblicato nell’articolo, Claude Izner, pseudonimo di due sorelle, libraie, che hanno scritto intriganti gialli ambientati a Parigi nell’800.
  13. .
    Dura la vita del pendolare. Magari prima i trasporti erano migliori, ma oggi! Treni sempre in ritardo o soppressi, deve essere pazzesco. Per raggiungere l’ufficio dovevi cambiare molti mezzi?
  14. .
    No, solo quando andavo all’università, ma, poiché non c’era obbligo di frequenza, andavo saltuariamente. Sono andata tutti i giorni per più di un mese quando mio marito, l’anno scorsa, è stato operato al Niguarda.
  15. .
    A saper guardare, il treno è davvero un piccolo mondo in cui si intrecciano, per poi lasciarsi, le vite di molte persone. Se poi chi guarda ha spirito d’osservazione e una spiccata fantasia, il gioco è fatto. Un bel racconto, una piacevole lettura.
48 replies since 14/3/2019
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