Il segreto di Ida


Sangue avvelenato

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    Sangue avvelenato

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    Autore/data: Ida Daneri (Ida59) – Ottobre/novembre 2016
    Tipologia: racconto in tre parti
    Rating: per tutti
    Genere: fantasy, angst, introspettivo, drammatico, romantico
    Avvertimenti: Ci sono immagini, sensazioni ed emozioni piuttosto macabre e molto, molto sangue.
    Riassunto: Un tremendo incubo che di nuovo ritorna, più lacerante di prima, nel malvagio richiamo d’un oscuro Sigillo di sangue indelebilmente inciso sulla pelle.
    Disclaimer: Questa storia è di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

    Premi, recensioni e antologie


    Indice

    Parte prima – Incubo
    Parte seconda – Strazio
    Parte terza – Desiderio



    Edited by Ida59 - 26/11/2022, 19:32
     
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    Parte prima – Incubo


    Selwyn era davanti al vetro appannato della finestra. Sul prato brillava la prima neve e i ragazzi del collegio avevano ottenuto il permesso di giocare fuori. Ridevano e cadevano tirandosi palle di neve; gridavano, facevano rumore e lo irritavano.
    Sul vetro il suo respiro formò nuvole opalescenti di vapore: ebbe la folle tentazione di scrivere, con un lungo dito sottile, una formula per farli svanire.
    Sfiorò la superficie col polpastrello, poi cambiò idea e scrisse:
    - Dove sei?
    Con incredulo stupore osservò i caratteri: le lettere colarono, si sfaldarono, finché una goccia, invece di scendere, cambiò traiettoria; il percorso sfuggì alle regole della gravità e s’incurvò in nuove parole. Lettera dopo lettera, lentamente, apparve una scritta:
    - Io non sono più.
    Fissò le parole, immobile, mentre nuove gocce nascevano e come lacrime scendevano lente, straziando con lunghe ferite il vetro. Lacrime trasparenti che lentamente s’incupirono e rallentarono la discesa; di nuovo s’incurvarono a formare una scritta che brillò scura sullo sfondo candido e puro della neve all’esterno:
    - Io non sono più chi credevo d’essere.
    Il giovane uomo spalancò appena gli occhi e trattenne il respiro; le trasparenti gocce di condensa si erano mutate in sangue, rosso cupo, che si era rappreso formando una nuova scritta:
    - Io non sono più un essere umano.
    Un gemito strozzato uscì dalle labbra sottili di Selwyn, mentre il panorama esterno mutava.
    Fra gli schiamazzi gioiosi si levò un grido di terrore.
    Un ragazzo, per scansare una palla di neve, era inciampato ed era caduto, sprofondando nel soffice manto che si andava tingendo di carminio in una macchia che si allargava progressivamente.
    Un altro studente urlò, colpito al petto da un bianco proiettile ghiacciato: stramazzò a terra, il sangue che zampillava dal cuore.
    La candida purezza della neve era incrinata qua e là da chiazze di sangue che si espandevano a vista d’occhio ai piedi dei ragazzi che spalancavano gli occhi terrorizzati e, lanciando un grido pieno d’orrore, s’accasciavano sulla neve rossa.
    - No!
    Il grido sfuggì disperato dalle sue labbra mentre allungava impotente le mani, premendole contro il vetro già rigato di sangue all’interno.
    Non sarebbe dovuto accadere, non aveva messo abbastanza forza nel gesto, eppure accadde.
    Il vetro della finestra si ruppe.
    Andò in frantumi intorno alle dita sottili, straziandole, numerose schegge acuminate a conficcarsi nel palmo delle mani, lame aguzze a incidere profondamente i polsi.
    Il sangue sgorgò, scarlatto e caldo, in ondate abbondanti e successive guidate dal battito accelerato del suo cuore.
    Selwyn fissò attonito le mani insanguinate, quasi senza avvertire il dolore intenso, attratto dal fluido vitale che rapido abbandonava il suo corpo e gocciolava copioso a terra.
    Non riusciva a staccare gli occhi dal sangue che usciva pulsante dai tagli profondi, ma doveva alzare lo sguardo, doveva riuscirci: dal prato innevato, dal candido manto irrimediabilmente tinto di carminio, provenivano nuove urla, del tutto diverse, adesso, colme di straziante sofferenza.
    Poi si unirono risa, traboccanti di crudele piacere; appartenevano alla Confraternita di assassini che torturava vittime innocenti. Le aveva udite troppe volte, in passato, mentre serrava stretti gli occhi, angosciato, per non vedere l’orrore davanti a sé.
    Per non vedere ciò che era diventato.
    Per rifuggire e negare il suo tremendo e disumano desiderio, per resistere a quel profumo inebriante, a quel sapore squisito.
    Alzò gli occhi neri, profondi e disperati, grandi e dilatati nel volto pallido, e fissò lo squarcio, i bordi taglienti pieni di sangue, il resto del vetro altrettanto ricoperto di sangue, che grondava e ricadeva fino agli infissi e al muro di scuro granito rossastro.
    Gocciolava al ritmo del suo cuore, come se ogni battito sprigionasse una nuova ondata, calda, rovente, pulsante, piena di vita. Scendeva lungo la parete, imbevendola con generosità, e si raccoglieva ai suoi piedi in una pozza che si allargava a vista d’occhio.
    Intensamente e deliziosamente scarlatta.
    Ondate potenti lo colpirono e lo sospinsero verso l’apertura che lo attraeva in modo irresistibile, porta affacciata su un altro mondo, atroce e agghiacciante.
    Una soglia affacciata sul suo passato di dannato, al quale aveva vanamente creduto di potersi sottrarre.
    Il pulsante calore vermiglio lo accecava, ma allo stesso tempo lo richiamava verso il passaggio, risucchiandolo inesorabilmente.
    Ci fu uno schianto secco e la finestra, barriera tra i due mondi, scomparve.
    Vi era solo un mare di sangue con rosse onde spumeggianti: un orrendo abisso in cui non poteva far altro che immergersi e sprofondare.
    Un Inferno scarlatto che si rifletteva nei suoi occhi, neri di tormentate tenebre.
    Era condannato, di nuovo, implacabilmente, a essere un mostro assetato di sangue.
    Il Confratello al suo fianco rise spingendo a fondo il pugnale nel cuore del ragazzino inerme. Rabbrividì cercando di cancellare dalla mente l’immagine dell’aula in cui lo aveva visto nel pomeriggio, mentre distribuiva la verifica con i voti.
    La linfa vitale sprizzò con la forza entusiasta di una giovane vita che si spegneva repentina, schizzando anche sul viso di Selwyn, calde lacrime vermiglie sulla sua guancia pallida e fredda.
    Serrò stretti gli occhi, di nuovo immerso nell’orrore che credeva finito per sempre, dilaniato da se stesso, da tremendi atavici impulsi che la sua mente ripudiava con disperata resistenza, ma che il suo corpo bramava famelico.
    Sentiva il sangue colare lento lungo la guancia e avvicinarsi piano alle labbra convulsamente serrate.
    Selwyn tremò, resistendo a se stesso.
    Poi ne percepì il pulsante calore e l’inebriante profumo.
    La mano, contro la sua volontà, guidata da un ancestrale istinto perversamente richiamato alla vita, si avvicinò al volto e le dita, tremanti, sfiorarono il rivolo di sangue; lo accarezzarono, si intinsero e le sue labbra si dischiusero appena, irresistibilmente avide dell’indimenticato sapore delizioso, la lingua a pregustare lo squisito e agognato piacere.



    Edited by Ida59 - 15/7/2018, 17:48
     
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    Parte seconda – Strazio


    - No!
    L’urlo di Selwyn, carico d’angoscia, lacerò la notte.
    Si ritrovò a sedere rigido nel letto, il volto e le mani sudate, l’orrore negli occhi neri spalancati.
    Il Sigillo di Sangue di nuovo ardeva nelle sue vene.
    Era impossibile, ma aveva scordato il bruciore intenso dentro la carne, e, con esso, aveva disperatamente cercato di dimenticare l’agghiacciante disgusto che vi era legato.
    Il suo avido desiderio bestiale e il suo umano, disperato e angosciato ribrezzo.
    Il Sigillo era tornato evidente all’interno del polso, rosso e nitido sulla pelle pallida, con il sogno tremendo e il sangue, marea montante che cercava di travolgerlo e poi sommergerlo.
    Odiava il sangue.
    Il sangue sulle sue mani bianche e sottili. La colpa e il rimorso a lacerargli l’anima.
    Il sangue lo disgustava.Non ne sopportava l’odore. Gli dava il voltastomaco.
    Ma c’era stato un tempo in cui l’aveva bramato, con folle determinazione e avida, inappagabile e disumana sete.
    Era stato tanti anni prima, quando la sua giovane e ambiziosa follia l’aveva condotto alla Confraternita del Sigillo del Sangue e le sue mani si erano macchiate di colpa.
    Selwyn sospirò ai tremendi ricordi, alla maledetta scelta che aveva per sempre segnato il suo polso e condannato l’anima, arrivando quasi a distruggergli la vita: la scelta fatale che aveva permesso al Signore del Sigillo di Sangue di fare di lui lo schiavo più abietto tra tutti.
    Solo una goccia di sangue.
    Di sangue avvelenato.
    Una piccola, minuscola, antica e dimenticata goccia di sangue vampiro
    Non sapeva come il Signore avesse scoperto il segreto dormiente annidato come un morbo immondo nel suo corpo, tramandato di generazione in generazione e a lui stesso sconosciuto. Né sapeva quale oscuro sortilegio l’avesse risvegliata, dandole una nuova e famelica vita.
    Ma ricordava bene, dolorosamente troppo bene, la macabra sete che gli scorreva nelle vene fino a farlo tremare di desiderio davanti alle sue vittime, la tremenda necessità di ucciderle per soddisfare la smodata smania e appagare infine l’insopportabile arsura della gola.
    Non era un vero vampiro: stava alla luce del sole, gli specchi riflettevano la sua spigolosa immagine e, certo, non era immortale dato che il sangue scorreva, normale e caldo, nel suo corpo.
    Doveva mangiava per vivere, ma solo il sangue riusciva a soddisfare l’atavica brama che cresceva irresistibile: l’istinto raccapricciante che il Signore del Sigillodominava grazie a un’oscura malia e che ogni volta esplodeva sempre più violento e incontrollabile quando lo avocava a sé tramite il dominio del Sigillo.
    Era allora che la sua disgustosa sete, smaniosa come non mai, erompeva di colpo, inarrestabile e incontenibile, e lo trasformava in un orribile mostro. Uccidere era diventato necessario, per saziare il famelico bisogno che gli bruciava la testa e la gola, per raggiunge il prezioso premio che ogni volta il suo Signore gli prometteva allettandolo con ripugnanti immagini.
    E lui tremava, di desiderio e di disgusto
    C’era stato un tempo agghiacciante in cui si era trovato di là del bene e del male, oltre il regno dell’umana natura, affogato solo in un irrazionale e orrido istinto, radicato in sé, eppure altro da sé: falso, staccato, lontano, relegato in un incubo infernale.
    Un incubo di sangue.  
    A prezzo d’indicibili sofferenze, infliggendosi inauditi tormenti, con uno strenuo e ostinato sforzo di volontà era riuscito a sottrarsi all’istinto bestiale; era riuscito a fare emergere la sua umana natura, a rientrare dalla finestra che il Signore del Sigillo aveva infranto per farlo irrimediabilmente sprofondare nell’orrida smania che lo aveva perduto.
    Era riuscito a sottrarsi all’oscura dannazione e a rinnegare l’odioso Signore; a richiamare a sé, con angosciata disperazione, tutta la sua forza di volontà e, a costo d’uno straziante supplizio, che si ripeteva ogni volta che il Sigillo avvampava sulla pelle, aveva saputo respingere l’istinto e resistere a quell’immondo bisogno, negandolo e ricacciandolo indietro, lontano, nell’Inferno da cui il suo orrido Signore l’aveva riesumato.
    Il sangue era stato come una droga, l’unica bevanda che poteva spegnare la tremenda arsura: non poteva vivere senza, eppure voleva, doveva dominarsi e fuggire dal disumano bisogno. Non poteva più uccidere per soddisfare quella bestiale pulsione, non voleva più spezzare altre vite per rubare loro il caldo fluido vitale.
    La totale astinenza che si era imposto, implacabile, era stata straziante; gli sembrava di non riuscire neppure più a respirare tanto la gola, riarsa e secca per la sete da troppo tempo insoddisfatta, non permetteva all’aria di raggiungere i polmoni.
    In quei momenti, fuggiva lontano da ogni essere umano, si allontanava dall’inebriante odore del sangue, così rivoltante per la sua ferrea volontà, ma deliziosamente squisito per i suoi sensi. Si rinchiudeva nella sua volontaria prigione, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, guardandosi allo specchio, fissandosi in profondità negli occhi neri, cercandovi ostinatamente l’umanità che il Signore del Sigillo cercava di sottrargli.
    Quando il bisogno di sangue diventava una tortura insopportabile, scivolava lentamente in ginocchio, e poi a terra.  Si raggomitolava su se stesso, mordeva le labbra per non urlare e graffiava il Sigillo con le unghie, cercando di strapparlo via: era da lì che nasceva l’insopprimibile desiderio che lo torturava, era tramite il Sigillo che il suo Signore soggiogava la sua umanità.
    Ma non avrebbe ceduto. Mai.
    Non cedeva neppure in quelle notti terribili, quando l’orribile brama sembrava indomabile, là, davanti al Sigillo ardente, di fianco alle altre bestie che il Signore dominava con il suo oscuro potere.
    Ma lui voleva essere un uomo, non una bestia, per quanto straziante tormento quella scelta potesse costargli.
    Così riusciva a resistere anche quando il Signore del Sigillo, con un raccapricciante ghigno dipinto come una rossa ferita sul volto privo d’espressione, gli concedeva l’ambito premio: il corpo della vittima, grondante di sangue, il soffio della vita che ancora batteva, labile ma caldo.
    Selwyn tremava, mentre assentiva bramoso e allungava avido le mani su quello che presto sarebbe stato solo un povero cadavere martoriato, mostrando al suo Signore, padrone dei suoi pensieri, i famelici desideri che voleva vedere: un essere bestiale chino sul collo squarciato, intento a dissetarsi con avidità.
    Si allontanava veloce dal falò e dalle risa sguaiate dei confratelli schiavi del Sigillo, incapace di controllare il tremito delle mani mentre le sentiva riempirsi del fluido vitale, caldo e denso, nutrimento agognato in modo irresistibile, ma che si sarebbe inesorabilmente negato, ancora e sempre.
    Camminava con il povero corpo in agonia stretto tra le braccia, augurandosi di non dover uccidere ancora, implorando che la morte sopraggiungesse misericordiosa prima dell’arrivo alla radura.
    La radura della pietosa sepoltura, così l’aveva soprannominata.
    Il luogo dove in rispettoso silenzio ricomponeva le membra straziate e sanguinanti delle povere vittime innocenti, le lacrime a bruciargli le guance perfino più della sete che crudelmente lo divorava, odiando le mani sporche di sangue che, con estenuante lentezza, poco a poco si ripulivano nella terra smossa della fossa che le sue unghie con ostinazione scavavano alla ricerca di una redenzione che non credeva possibile raggiungere.
    Pensava d’essere per sempre condannato a una vita infernale, al tremendo e interminabile strazio, rassegnato a soffrire come un dannato, perché solo un essere dannato realmente era.
    Invece, una notte il suo Signore era scomparso e, mentre il Sigillo sbiadiva, l’orribile e disgustoso bisogno di sangue era svanito all’improvviso e Selwyn si era ritrovato inaspettatamente libero.
    Libero di tornare a essere solo un normale essere umano.
    Con umani desideri.

     

    Edited by Ida59 - 15/7/2018, 17:49
     
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    Parte terza – Desiderio


    Selwyn chiuse gli occhi e sospirò riadagiandosi piano sul cuscino.
    Tornare a essere un uomo, dopo essere stato un mostro spaventoso, era stato difficile. Non era mai riuscito a perdonarsi la scelta di entrare nella Confraternita, inizio di tutto il male, le imperdonabili colpe, la disperata angoscia e i laceranti rimorsi.
    Dopo i crimini commessi - tutte le vite cui aveva sottratto il caldo soffio vitale succhiandone avido il sangue, fino all’ultima goccia - non aveva più diritto a vivere, a essere felice e ad amare.
    Aveva congelato ogni speranza e desiderio, ogni anelito del cuore, trasformandolo in un insensibile pezzo di ghiaccio. Aveva vissuto in solitudine, allontanando gli altri con modi sgradevoli, negandosi ogni gioia della vita: aveva trascinato l’esistenza nello stesso gelido e monotono freddo della morte che aveva crudelmente inflitto alle sue vittime innocenti.
    Era stato giusto così, per tanti lunghi e tristi anni. Finché era arrivata lei, a riportare il calore dell’amore nella sua vita e a sciogliere il ghiaccio del suo cuore.
    Vivian…
    Chiuse gli occhi e sospirò piano: la sua Vivian, la sua dolce, delicata, adorata Vivian!
    L’accenno di sorriso dischiuse appena le labbra sottili e Selwyn mosse piano la mano cercandola tra le lenzuola.
    Fu quel fastidio che lo bloccò, il leggero bruciore sulla pelle, là dove il Sigillo era tornato dannatamente vivo.
    Odiava il sangue, e le proprie imperdonabili colpe.
    Deglutì a fatica.
    Gli faceva ribrezzo.
    L’incubo era ricolmo di sangue, caldo e pulsante.
    Gli dava il voltastomaco.
    Il rivolo di sangue sulla guancia, nel sogno, il suo aroma penetrante…
    Lentamente aprì un poco la bocca, secca, e con la lingua si inumidì appena le labbra.
    Erano orribilmente vere, le parole del sogno: non era più chi credeva d’essere, non era più un essere umano.
    Aveva sete, una sete tremenda: il Sigillo ardeva nelle sue vene e una tragica consapevolezza si abbatté con forza tremenda su di lui.
    Di nuovo bramava il sangue!
    No, non avrebbe più fatto del male, non si sarebbe più trasformato in un mostro disumano che si dissetava con il sangue delle proprie vittime. Il Signore del Sigillo poteva anche ritornare, il Sigillo poteva di nuovo bruciargli le vene come un tempo, ma non avrebbe mai più ceduto: avrebbe saputo resistere, avrebbe rinnegato e respinto l’istinto bestiale che il vecchio padrone stava implacabilmente risvegliando nel suo corpo.
    Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, i denti serrati con forza sulle labbra.
    Gli sembrava d’impazzire. Percepiva l’odore del sangue, il profumo, l’aroma caldo e invitante che gli penetrava nelle narici.
    Non sarebbe di nuovo precipitato in quel macabro orrore, non avrebbe perso il controllo, non avrebbe mai più fatto del male a nessuno.
    Sarebbe riuscito a dominarsi, per quanta lacerante sofferenza potesse costargli, per quanta straziante sete avesse mai potuto di nuovo provare; anche se si sarebbe sentito morire ogni volta che il richiamo del Sigillo avesse risuonato nella sua carne trasformando le vene in torrenti di fuoco, che solo il sangue fresco e pulsante avrebbe potuto estinguere.
    No, non avrebbe ceduto, mai più!
    Era già riuscito una volta a sottrarsi alla macabra dannazione e non sarebbe ripiombato nel baratro di disperazione.
    No, non voleva, non poteva, non doveva!
    Ora c’era Vivian al suo fianco: lei, più d’ogni altro, avrebbe corso un rischio terribile.
    Il pensiero attraversò la mente, lancinante e terribile, e come un dardo infuocato si conficcò nel cuore, in profondità, spaccandolo in due.
    Vivian.
    La sua tenera, splendida, amata Vivian.
    Non le avrebbe mai fatto del male.
    Doveva proteggerla.
    Doveva allontanarla dal mostro che stava tornando ad essere.
    Non poteva correre rischi.
    Se l’amava doveva perderla, solo così l’avrebbe salvata.
    E lui amava Vivian, intensamente, più della sua stessa vita, più del sangue che sentiva pulsare sotto la nivea pelle e colorava di rosso intenso le piccole, sensuali labbra.
    Strinse ancora i pugni mentre una lacrima scendeva leggera sulla guancia troppo pallida, piccola perla trasparente come la sua perduta innocenza.
    Vivian, la luce finalmente ritrovata, la speranza di futuro felice che si trasformava in una tremenda condanna a una nuova, straziante, infinita sofferenza.
    L’amava con tutto l’ardore del proprio cuore e il suo corpo la desiderava con rovente passione: la voleva, con tutte le sue forze… ma doveva avere la forza di fuggirle lontano!
    Sapeva bene che, oltre alla donna e al suo corpo attraente, desiderava anche il sangue.
    Lo sentiva scorrere, gli sembrava addirittura di vederlo, rosso, caldo e pulsante sotto la pelle bianca.
    Sì avvicinò alla donna, i lunghi capelli neri sparsi sul cuscino, i lineamenti delicati addolciti nella serenità del sonno e le labbra, piccole e vermiglie, lievemente dischiuse nell’inconsapevole e sensuale invito a un bacio.
     - Vivian… - sussurrò piano con tremante dolcezza.
    Si avvicinò alle labbra che amava e gli raccontavano una felicità ormai perduta; sfiorò con la bocca la pelle dal profumo inebriante… e all’improvviso lo sentì, forte, potente, esaltante, eccitante più d’ogni altra cosa.
    L’aroma del sangue di Vivian era qualcosa di irresistibile, profumo e sapore insieme, una fragranza travolgente, calda e frasca allo stesso tempo, dissetante…
    Le sue labbra scivolarono dalla guancia al collo: era preda d’un incontrollabile desiderio di morderla, di affondare i denti nella tenera carne per suggere il liquido squisitamente odoroso di cui bramava dissetarsi. Ne percepiva il profumo intenso, l’inebriante calda fragranza della vita che scorreva pulsando nelle vene.
    Ma l’amava.
    Non le avrebbe fatto del male.
    Un ardente sospiro sfuggì dalle labbra dischiuse, tese verso l’impossibile desiderio.
    Dal collo, la bocca scivolò come rovente carezza sul seno: lì sotto batteva il cuore di Vivian, il cuore della donna che amava e che ricambiava il suo amore.
    Sospirò ancora cercando di ignorare l’intenso, delizioso profumo che emanava dal suo corpo sensuale.
    Doveva fuggire, lasciarla, mettere il mondo intero fra loro.
    Doveva salvarla da se stesso e poteva farlo solo rinunciando a lei.
    Non aveva altra scelta.
    Con sforzo estremo staccò le labbra dalla pelle calda e morbida, dal sangue che pulsava invitante, e tornò al suo viso, alla bocca lievemente dischiusa.
    Desiderava baciarla con tenero amore, stringerla un’ultima volta a sé con infuocata passione, ma aveva il terrore di perdere il controllo, che la brama per l’intenso profumo che lo stava facendo impazzire potesse prendere il sopravvento.
    Aveva paura di farle del male.
    Le sfiorò appena la bocca con la punta delle dita, il corpo che fremeva dal desiderio di averla e il cuore che urlava disperato il suo dolore, e un sussurro straziato sulle labbra sottili:
    - Vivian… amore mio!
    Poi si ritrasse di scatto, afferrò gli abiti e fuggì via nella notte buia e fredda.
    Dopo tanti anni, quando finalmente aveva di nuovo osato sperare di amare ed essere riamato, quando aveva creduto che anche per lui potesse esserci un futuro di felicità, l’orrendo incubo di sangue era ricominciato e si era ritrovato nuovamente dannato, nell’Inferno dei suoi intollerabili desideri.
    Il pulsare del Sigillo gli rivelava, oltre ogni residuo dubbio, che il suo Signore era tornato, riportando in vita il passato e la sua dannazione.
    L’Incubo di sangue stava per ricominciare e Selwyn sapeva fin troppo bene che il peggio doveva ancora arrivare.

    Edited by Ida59 - 15/7/2018, 17:49
     
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    Tutto è nato molto, davvero molto tempo fa, oltre dieci anni, ormai; in un luogo che ho molto amato e contunuo ad amare profondamente: il mio forum "Il Calderone di Severus".
    Erano anni particolari, in cui scrivevo ancora solo fanfiction sul mio adorato Severus Piton. Esistevano due Club specialissimi sul forum: il Club delle Sadiche fanwriter e il Club delle Nere fanwriter. Nelle discussioni linkate trovate tutte le spiegazioni sulla natura dei club, perchè i nomi, in effetti, sono fuorvianti.
    I Club sopra indicati avevano lanciato due iniziative alle quali ho partecipato con la stessa fanfiction: la sfida di scrittura Sangue e la sfida Incipit.
    Da quella vecchia fanfiction, molto particolare e piuttosto borderline rispetto alla saga di Harry Potter (in effetti più AU - Alternative Universe - di così non si poteva), un po' rimaneggiata perchè dovevo creare un "mondo fantastico" diverso da quello inventato dalla Rowling, ho tratto la storia originale "Sangue Avvelenato".
    Attenzione, perchè la densità di sangue è molto elevata nel primo capitolo, anche se poi va a scemare e l'effetto è più psicologico che reale.
    La fanfiction ha avuto un seguito e la degna conclusione con la storia lunga Implacabile desiderio, che è una fanfiction (vietata ai minori - segui le istruzioni se vuoi leggerla), per ora rimasta tale. Ma mai dire mai...

    Edited by Ida59 - 16/12/2019, 08:50
     
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