Il segreto di Ida


Biancospino

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    Titolo: Biancospino
    Autore/data: Ida59 – 14-19 ottobre 2019 + 12/3/2020 (sostituzione parte iniziale)
    Beta-reader: nessuno
    Tipologia: racconto
    Rating: per tutti
    Genere: drammatico, introspettivo
    Epoca: ai giorni nostri
    Avvertimenti: ---
    Riassunto: Il regalo più prezioso celato in un nome.
    Parole/battute/pagine: 2.588 - 15.888 - 7
    Indice Gunning/Gulpease: 5 - 68 - 80,7% parole comuni.
    Note: Parte dall'idea di "La bella e il dannato" (scritta poi successivamente) con le variazioni suggerite da mio marito.
    Disclaimer: Questa storia è di mia proprietà e occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

    Recensioni e premi - Antologie

    Biancospino



    May sbuffò scendendo dall'auto. Il capo le aveva appioppato l'incarico con una telefonata fulminante mentre usciva dalla redazione per godersi l'agognato fine settimana.
    Sbatté la portiera, una silenziosa imprecazione tra i denti. Altro che sensazionale intervista e un passo avanti nella carriera! Era un vecchio professore in pensione, scomparso da anni dalle prime pagine dei giornali, la sua scoperta superata dai tempi.
    Sbuffò di nuovo: aveva di meglio da fare, il venerdì sera, che recarsi in una fatiscente villa di periferia al tramonto.
    Dove diavolo era il citofono?
    Oltre il cancello, nel crepuscolo incipiente, un grande giardino mal tenuto, il viale d'accesso invaso dalla vegetazione.
    Spazientita, seguì il marciapiede lungo il muro perimetrale cercando l'entrata pedonale.
    Un cancelletto, edera e rampicanti abbarbicati alle eleganti aste brunite. Dietro, vegetazione disordinata e ammassata, il lastricato del vialetto sommerso da erba e cespugli. Il citofono c'era, targa d'ottone opaca con nome illeggibile e bottone istoriato consumato dal tempo.
    Ormai convinta d'essere all'indirizzo sbagliato, la serratura girò con uno scatto metallico e la grata dell'ingresso arretrò, magicamente, lasciandola entrare mentre l'ultimo raggio di sole sfiorava le cime delle piante oltre il muro di cinta.
    Avanzò a fatica, tra grovigli d'arbusti troppo cresciuti, il vialetto somigliante al sottobosco, coperto da aghi di pino. Qua e là un rametto spinoso agganciava l'orlo della gonna e un pruno attentò l'integrità dei collant. S'inoltrò circospetta nella grotta vegetale che aveva avviluppato il vialetto d'entrata, maledicendo tra sé il suo capo.
    L'intrico di vegetazione si diradò e un largo spiazzo incolto, un tempo prato ben curato si aprì mostrando una costruzione signorile ricoperta d'edera. Avanzò costeggiando l'arida fontana circolare, al centro un gruppo marmoreo venato dal verde del muschio.
    Esitante, salì i gradini sconnessi della scalinata, le dita per precauzione sul corrimano di pietra.
    Arrivò in cima col batticuore; proseguì nell'ingresso buio, la luce serale oscurata dagli intricati festoni di glicine pendenti dalla balconata, che oscillavano nella brezza.
    Un rumore secco e la grande porta si aprì, le vetrate colorate tintinnanti.
    Ancora un passo titubante: il cono di luce s'irradiò sul terrazzo e un'alta figura scura si stagliò sulla soglia.
    - Prego, accomodatevi Signora. - la invitò con un cortese inchino.
    Una voce giovanile e armoniosa, una carezza di seta nella sera.
    Doveva esser il figlio del decrepito professore, forse addirittura il nipote, venuto ad aprire perché il nonno dormiva.
    Perchè le dava del voi?
    Il portone si richiuse con un tonfo soffocato e il padrone di casa la precedette deciso, il lungo mantello nero che fluttuava nell'aria.
    May si stropicciò gli occhi. Dov'era finita? Cosa stava accadendo? Uno stupido scherzo organizzato dai colleghi?
    Restò immobile, sconcertata.
    Il suo ospite se ne avvide subito, si fermò e si voltò, sinuoso ed elegante, il manto a seguirlo in un aleggiare raffinato. La fissò con penetranti occhi neri e il cuore di May prese a battere all'impazzata, la mente all'improvviso confusa, vuota, impacciata.
    L'uomo sembrava uscito da una piega del passato, oltre un secolo prima.
    I lineamenti erano fini e delicati, un diafano pallore soffuso sembrava illuminargli il volto incorniciato da lunghi capelli scuri, appena ondulati. L'espressione era seria e controllata, le labbra sottili, esangui e ben serrate.
    Si osservavano in silenzio per lunghi istanti: non riusciva a distogliere lo sguardo, era irresistibilmente attratta dall'abisso tenebroso degli occhi, quasi desiderasse precipitarvi dentro e annegare, dimentica di tutto.
    Annaspò e cercò di sottrarsi alla malia che la avvolgeva.
    - Non abbiate timore. Vi attendevo con ansia, Signorina Foster. - la rassicurò con voce suadente. - Sono Stephan von Meyer, ai vostri ordini! - aggiunse in un teutonico saluto, sull'attenti, battendo i tacchi.
    May trasalì al rumore che, però, la aiutò a tornare alla realtà e a staccarsi dai magnetici occhi che l'avevano stregata.
    Si arrampicò a fatica nei ricordi delle informazioni raffazzonate prima di uscire dalla redazione. Il professor Stephan von Meyer era nato nel 1930.
    Aveva novant'anni, ma l'uomo davanti a lei non poteva averne più di trenta.
    Cercò di parlare, di fare una domanda sensata, ma la voce era bloccata in fondo alla gola, impigliata nel respiro ansimante.
    Lui la tolse dall'imbarazzo:
    - Perdonatemi, non ricordo il vostro nome.
    La testa le girava, cosa stava accadendo?
    - May. - esalò in un sussurro forzato.
    - Un nome bellissimo, dal significato singolare… e importante. - rispose porgendole il braccio, uno strano brillio ad animare le iridi nere mentre le labbra si schiudevano in un seducente sorriso.
    In quell'istante comprese.
    Vide i canini spuntare.
    Candidi e appuntiti.
    Eppure, posò la mano sul braccio e si affidò con totale fiducia, la voce che la accarezzava e lo sguardo nero ad avvolgerla, ammaliante.
    - La cena è servita, May. - disse conducendola nel salone, le cui porte si aprirono obbedienti.
    Scintillii tremolanti di luci li accolsero: v'erano candelabri accesi sulla tavola imbandita e alle pareti. Le fiamme oscillavano riflettendosi su argenteria e coperchi dei piatti di portata, e sottili spirali di fumo si attorcigliavano nell'aria.
    Forse stava sognando.
    L'accompagnò alla sedia, che scostò con eleganza dalla lunga tovaglia bianca di fiandra, e la fece accomodare con un sorriso silenzioso e appuntito. Si sedette di fronte, vicino eppure lontano.
    All'improvviso il piatto si riempì di fumanti vivande. Ma non c'erano camerieri! La giovane ricordò vaghe sensazioni di lampi argentei e qualche tintinnio. Anche la coppa di cristallo era colma di liquido color rubino. Si diceva che i vampiri si muovessero velocissimi, invisibili all'occhio umano.
    Von Meyer la fissava serio, il pallore del volto a far risaltare l'insondabile oscurità degli occhi. Un lago profondo di afflitta tristezza. Provò un moto di compassione per l'uomo, sì giovane e bello, e affascinante. Si diceva anche che i vampiri controllassero le menti.
    Cominciò a cenare. Il cibo era squisito e il vino delizioso.
    - Sapete chi sono, vero? - chiese gentile l'ospite, rompendo il silenzio.
    May aveva quasi finito il piatto, quello di Von Meyer era intatto. Tra le lunghe e pallide dita il vino traeva riflessi di sangue attraverso il fine cristallo illuminato dalle candele. Non ne aveva sorbita neppure una goccia. I vampiri si nutrono solo di sangue…
    Le parole non uscirono. Riuscì solo ad annuire. Eppure, non aveva paura. Poteva alzarsi e fuggire, lui non l'avrebbe trattenuta. Ma rimase seduta a fissare la mestizia del suo sguardo.
    - Nacqui in un paesino della Foresta Nera, anno Mille.
    Silenzio.
    Rapido calcolo: 1020 anni. May sospirò appena: sembrava così giovane e bello!
    - Esattamente mille anni fa, la mia vita mutò.
    Un'ombra scura rabbuiò il viso del vampiro, inondandolo di dolore. Per un istante, May vide i mille anni trascorrere sulla pelle diafana.
    - Ne gradite ancora?
    Von Meyer era al suo fianco, impassibile, a porgerle galante altro pasticcio di carne.
    Scosse il capo. Non sarebbe riuscita a trangugiare altro.
    Un battito di ciglia ed era di nuovo seduto di fronte a lei, all'altro lato della tavola rotonda.
    Si sforzò di parlare:
    - Mille anni sono tanti…
    - Sufficienti a vedere morire, più e più volte, le persone che mi sono state care. - rispose scrutandola, un amaro rimpianto nella voce soffocata. - Ciò ha presto tolto ogni perverso fascino all'immortalità.
    Avrebbe fatto meglio a restare in silenzio.
    - Volete brindare con me, May, per favore? - chiese il vampiro riempiendole di nuovo la coppa col pregiato vino rosso dai riflessi di sangue.
    - A… a cosa volete… brindare? - si forzò a domandare deglutendo la paura, in attesa della risposta che avrebbe rivelato il tragico finale della serata.
    - Alla mia morte, naturalmente! - rispose con un incantevole sorriso levando in alto il bicchiere.
    - La… vostra morte? - ripeté incredula.
    - Di certo non la vostra, May. - rispose sollevando appena un sopracciglio. - Siete così bella e piena di vita. Non vi farei mai del male.
    Il sorriso del vampiro era dolcissimo e rassicurante. I canini sembravano scomparsi. La tristezza, invece, traboccava dalla nera oscurità delle iridi.
    - I vampiri… - May sentì il volto in fiamme, - insomma, voi non potete morire!
    La guardò in silenzio sfiorandole appena la guancia con dita delicate. Fece un lungo sospiro scuotendo il capo e volse lo sguardo sul pacchetto lungo e stretto, avvolto in luccicante carta rossa. May non l'aveva notato, prima.
    - Ero solo un ragazzo, nemmeno vent'anni: ingenuo e arrogante, orgoglioso dei miei natali. - narrò con voce distaccata. - Stupidamente coraggioso, m'inoltrai per la selva oscura, incurante d'ogni insegnamento.
    Un cupo sospiro inframmezzò il racconto.
    - L'ombra mi assalì all'improvviso. Ricordo il bruciante spasimo del morso come se fosse in questo istante.
    May si sentì sferzare da una ventata di angosciata sofferenza e chinò il capo, travolta.
    - Quando mi risvegliai, era piena notte. Non so quanto tempo fosse trascorso, ma dal collo promanava ancora un dolore atroce. C'erano due buchi profondi e sembrava che il fuoco dell'inferno vi ribollisse dentro.
    La giovane rabbrividì.
    - Dopo i primi momenti di scoramento, mi resi conto di chi fossi diventato. Ero potente, invincibile. Presto scoprii ogni mio potere.
    La voce del vampiro divenne un sussurro profondo, dall'oltretomba.
    - Ero un mostro: vivevo della vita altrui, condannato per sempre alle tenebre.
    A May sembrò di percepire un singhiozzo straziato nelle parole di Von Meyer, ma alzando lo sguardo vide solo il volto, pallido e imperturbabile, le labbra serrate strette.
    - Uccisi, dilaniai e dissanguai le mie vittime godendo del mio immenso potere.
    Gli occhi del vampiro erano pozzi neri di disperazione.
    - Presto scoprii il prezzo dell'orrendo dominio sulla vita. - ammise in un sofferto sussurro. - La solitudine. Non potevo avere amici né stabilire relazioni durature. Dovevo spesso cambiare nome e residenza.
    - Ma… gli altri vampiri…
    Von Meyer scosse il capo, desolato.
    - Ognuno pensava a sé e a prevalere sugli altri. Procurarsi il sangue senza farsi notare diveniva sempre più difficile con il trascorrere dei secoli.
    Era assurdo, ma May provava una grande pena per il povero vampiro. Il suo cocente tormento era così palpabile, così visibile nel volto diafano e bello…
    - Un giorno, però, incontrai un vampiro diverso dagli altri.
    May percepì un anelito di vita nelle parole e il viso di Stephan sembrò per un istante illuminarsi.
    - Non sarebbe mai voluto diventare un mostro, lui. Si era ribellato alla nuova natura, l'aveva combattuta e infine domata!
    Sì, era proprio così: May vide le iridi ardere d'oscura luminosità, perse in un sogno impossibile.
    - M'istillò di nuovo una coscienza. Mi restituì parte dell'umanità a prezzo del tormento d'essere un parassita che vive nelle tenebre e si ciba della morte di altri esseri viventi.
    Il cuore di May era stretto in una morsa; il vampiro chiuse gli occhi e abbassò il capo, pervaso da un lungo brivido di orrore. Poi sollevò il viso e la trafisse con lo sguardo:
    - Non ho mai potuto amare davvero una donna.
    Le parole ricaddero come piombo fuso su May, che rabbrividì.
    - Potevo solo vederla invecchiare, giorno dopo giorno, e poi morire tra le mie braccia impotenti.
    Un lungo sospiro lo interruppe ancora, traboccante di dolore:
    - Oppure dovevo fuggire, inseguito dall'odio nel suo sguardo quando comprendeva la mia natura dannata.
    Un nuovo, lungo silenzio, il capo chino e le braccia abbandonate.
    Le parole bruciavano nella gola di May. Si fece coraggio:
    - Ma… avreste potuto trasformarle… Ė possibile, vero?
    Nelle iridi nere di Stephan c'era cupa desolazione mentre assentiva:
    - Sì, è possibile. - disse, e le parole suonarono come inesorabile condanna compressa in un altro lungo sospiro colmo di amari ricordi. - Le trasformai, le prime volte…
    - E… cosa accadde?
    - Il loro amore svanì quando si resero conto del potere assunto nella nuova forma di vita.
    Amarezza e delusione erano palpabili nelle parole di Stephan.
    Seguì un lungo, lugubre e immoto silenzio.
    Infine il vampiro si riscosse, il sorriso di nuovo appuntito sulle labbra e un singolare luccichio di compiacimento nelle iridi.
    - Vi prego, May, danzate con me.
    La giovane spalancò gli occhi all'inatteso invito, ma non osò rifiutare. Si lasciò avvolgere dalle sue braccia, delicate e possessive, e sentì il corpo maschio congiungersi al suo nel vortice della danza. Le note di un valzer aleggiarono nell'aria o, forse, solo nella sua mente.
    Poi le labbra di Stephan sfiorarono morbide le sue, rispettose e invitanti. May sentì la punta della lingua, umida, cercare gentile un varco e di nuovo cedette, inerme, concedendo l'ingresso.
    Fu un bacio deliziosamente romantico, un sogno soave, una dolce illusione senza futuro.
    May chiuse gli occhi e si abbandonò alla danza, all'abbraccio, all'insana follia della notte.
    Poi la musica cessò. Percepì un'esitazione, un tenue brivido prima che il corpo di Stephan si scostasse dal suo. Ne sentì immediatamente la mancanza.
    - Ora che sapete chi sono, May, è il momento di rivelarvi perché vi ho condotto qui. - spiegò in un profondo sussurro che la fece vibrare nel profondo, gli occhi neri penetranti che vincevano ogni residua volontà.
    La condusse di nuovo alla tavola e indicò il pacchetto:
    - Oggi è il mio compleanno. Mille anni da dannato. - spiegò con voce atona. - E non voglio vivere un giorno di più.
    May spalancò gli occhi e arretrò, sconvolta, il sapore delle labbra delicate ancora sulle sue.
    - Ho scelto voi, May. - la implorò avvicinandosi, gli occhi neri spiritati. - Voi dovete aiutarmi a morire!
    - Siete pazzo…
    - No, non lo sono, May. Aiutatemi, vi supplico!
    - Perché… perché proprio io? - chiese, le lacrime agli occhi e la voce incrinata.
    - Sapete qual è il significato del vostro nome?
    Lo fissò, sbigottita:
    - Maggio… il mese di maggio.
    Il cuore batteva forte rubandole il respiro ma si forzò a continuare:
    - Deriva da Maia, la dea della fecondità e del risveglio della natura in primavera.
    Il vampiro l'avvolse nel suo sguardo intenso.
    - Ė il nome del fiore del biancospino. - mormorò porgendole il pacchetto lungo e stretto. - E questo è il regalo… per me. Apritelo!
    May lo svolse meccanicamente dalla rossa carta luccicante. Poi lo aprì, spinta da un'insana curiosità, e l'orrore si diffuse sul viso.
    Un lungo paletto appuntito.
    - La tradizione tedesca afferma che il legno di biancospino può fermare il cuore di un vampiro con più forza del frassino.
    Le mani di May sussultarono e Stephan dovette afferrare la scatola affinché non cadesse, ben attento a non toccarne il contenuto. Gliela porse di nuovo.
    - Avanti, fatelo! - ordinò. - Trapassatemi il cuore con un colpo deciso.
    - Siete pazzo! - piagnucolò May, disperata, mentre le sue mani, guidate dalla forza mentale del vampiro, afferravano il paletto e lo dirigevano al suo cuore.
    Stephan la osservava, un sorriso estatico sulle labbra sottili ed esangui. Poi avvolse le mani intorno alle sue e spinse la punta contro il proprio petto, fino a farla penetrare.
    May resistette e per un momento riuscì a opporsi:
    - No, non posso, non voglio! - gridò affranta, le mani tremanti.
    Il vampiro le sorrise ancora, dolcemente, poi si gettò tra le sue braccia, stringendola forte a sé mentre il paletto di biancospino, fatale, gli attraversava il cuore.
    Pochi istanti ancora di vita dannata, il tempo di fissarla con l'ultimo guizzo di umanità.
    - Guardatemi!
    Viso contro viso, i respiri per un attimo si confusero mentre gli sguardi si univano e il recente passato svaniva.

    Un impetuoso vortice di finissima polvere e May si ritrovò nella sua auto, davanti alla redazione.
    Il cellulare trillava insistente nella borsa. Sette chiamate.
    Mezzanotte passata.
    Rispose.
    - No… va tutto bene, Robert. Dovevo finire un lavoro. Adesso arrivo.
    Aveva un gran mal di testa.
    Non ricordava altro.

    Edited by Ida59 - 30/12/2021, 14:34
     
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    Biancospino nasce da un'idea complessa e doveva essere un racconto molto più lungo, ma i tempi ristretti per la presentazione a un concorso insieme ad altri racconti della raccolta "Rossi in piccoli morsi" mi hanno costretto a ridimensionare lo sviluppo della storia (poi svolta compiutamente nel racconto lungo "La bella e il dannato") condensandola in poche pagine e dandole un finale molto più breve e, forse, scioccante.
    Per altro, l'idea del finale mi è stata suggerita da mio marito, cui vanno tutti i meriti e i miei complimenti.
    Anche la parte iniziale del racconto è stata modificata dopo aver scritto la storia principe cui era più appropriata ("La bella e il dannato") risultando di molto accorciata nella stesura di Biancospino.
    Questo non significa che Biancospino sia un racconto monco: si basa infatti su un finale molto forte, al quale si arriva in tempi piuttosto rapidi, condensando così l'interesse del lettore (spero!).
    Il tema trattato è quello dell'immortalità che, vista dagli occhi disillusi di un vampiro che compie mille anni di vita dannata, è tutt'altro che desiderabile. Certo, si tratta di un vampiro particolare, uno di quelli di cui scrivo io, tragico-romantici, ancora con una coscienza e tanti, troppi sensi di colpa a gravargli su un'anima che non dovrebbe più possedere.
     
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