Il segreto di Ida


La sfida dell'Unicorno

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  1. DanielaB
     
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    Sviluppo della trama 1 di raffaela (Maestro di surf)

    Intrecci del destino



    La linea del monitor si appiattì e il bip bip si fece continuo, penetrante.
    La luce rossa all’esterno della camera e sul quadrante di controllo nella sala infermiere cominciò a lampeggiare.
    - Dottore, dottore, presto! – Chiamò allarmata un’infermiera – Il numero sette ha problemi.
    L’uomo guardava dall’alto il personale sanitario affannarsi intorno al suo corpo immobile; non provava più dolore, non sentiva più niente.
    - No, Anselmo, non è ora. – Sussurrò una voce.
    Si voltò di scatto e vide sua moglie Ines che lo aveva lasciato da vent’anni e dalla cui perdita era incominciato il suo declino personale e poi sociale.
    - Ines! – Esclamò, cercando di abbracciarla, incredulo.
    - Ciao, caro! Non puoi abbracciarmi, io sono un fantasma, tu non ancora.
    - Ines! – Ripetè l’uomo, gli occhi mai sazi di guardarla.
    - Anselmo, caro, ascoltami. Lassù hanno deciso che devi stare ancora sulla Terra. Hai qualche peccatuccio da espiare e sei utile qui, per scopi che non mi hanno rivelato.
    - No, no, io voglio venire con te! – Pregò Anselmo – Non puoi lasciarmi un’altra volta.
    Il fantasma sospirò.
    - L’avevo detto che non sarebbe stata una buona idea mandare me. Lassù sanno che, dopo la mia morte, ti sei lasciato andare, non hai saputo reagire.
    - Senza di te, niente contava: il lavoro, la casa, lavarmi, mangiare. Ho chiuso casa e ho cominciato a vagare per la città. Ho gridato spesso il mio dolore e spesso mi hanno preso per pazzo.
    - Lo so, caro. Ti vedevo, impotente. Forse, se avessimo avuto figli…
    Si interruppe.
    - Ines, stai qui tu, se non posso venire io da te. Riaprirò casa, tornerò alla vita sociale.
    - Non posso, amore mio. Ascoltami. Devi tornare nel tuo corpo, ordine tassativo del Capo Supremo. So che ti addolora tutto questo, però consolati, perché sai che ci ritroveremo, è sicuro; ci siamo rivisti e poi avrai un dono speciale, per questo sacrificio. Quando ti risveglierai, guarda nelle tasche della giacca che ti hanno donato le Dame di San Vincenzo; i tuoi abiti sono stati buttati, imbrattati di sangue e strappati com’erano e il tuo capanno sul Tevere…
    - Cos’è successo alla mia tana? – Chiese ansioso.
    - L’hanno incendiata i teppisti che ti hanno picchiato quasi a morte.
    - Ines, non lasciarmi! – Implorò.
    - Non posso, ordini superiori. Ciao, amore mio! Vivi la tua vita, fai del bene. Ci ritroveremo e sarà per sempre.
    Anselmo aprì gli occhi.
    I medici lo avevano salvato.
    - No, no! – Pensò – Non voglio svegliarmi, stavo facendo un sogno bellissimo, avevo ritrovato la mia Ines!
    Si crogiolò nella sensazione di benessere provata mentre i medici lo rianimavano e stava sognando Ines. Per tutto il tempo del ricovero ripensò, speranzoso, al viso dolce della moglie e alle parole di commiato che si rincorrevano gioiose nella sua mente:
    - Ci rivedremo, sarà per sempre!
    Il giorno delle dimissioni trovò, per vestirsi, abiti non suoi.
    - Sono un dono delle dame di San Vincenzo, - gli spiegò l’infermiera – i tuoi abiti erano inutilizzabili, strappati e macchiati di sangue.
    Anselmo si sentì stranito: nel sogno, la moglie gli aveva detto la stessa frase.
    Trattenendo il respiro, infilò la mano nella tasca della giacca: trovò un mazzo di carte, i Tarocchi e, in quella interna, uno strano libricino con disegnato, sulla pagina centrale, un unicorno bianco, alato e possente.
    Vedendo i tarocchi, l’infermiera insistette perché glieli leggesse.
    Titubante, Anselmo sciorinò le carte sul tavolino, la visione chiara e semplice come se avesse svolto quell’attività tutta la vita. Le parlò del passato e del futuro. La ragazza confermò gli avvenimenti vissuti e fece tesoro della previsione.
    Anselmo rimase seduto, frastornato per qualche minuto, poi ricordò che Ines gli aveva annunciato che avrebbe avuto un dono speciale e lo aveva esortato a fare del bene.
    - Amore mio, non era un sogno! Eri tu davvero e ti ritroverò quando i miei giorni sulla Terra saranno finiti.
    Esultò e pianse incredule lacrime di gioia.
    - Farò del bene, - si propose – leggerò le carte per aiutare le persone. Non so come userò il libretto, ma penso che lo capirò quando sarà il momento.

    *

    Marco era eccitato. Il vento rinforzava, le onde si stavano ingrossando e il sole brillava nel suo massimo splendore.
    - Perfetto! – Pensò felice – Farò una cavalcata spettacolare.
    Entrò nel capanno dove teneva la propria attrezzatura e quella da noleggiare; guardò l’orologio. Era ancora presto per dare la prossima lezione di surf, aveva tutto il tempo per divertirsi un po’ da solo.
    Mise gli occhiali da sole, indispensabili perché era fotofobico, sulla testa e prese una tavola. A lato della porta un luccichio attirò la sua attenzione: era il braccialetto che la moglie pensava di aver perso. Si chinò per raccoglierlo e gli occhiali caddero. In quel momento entrò la moglie col suo pancione di otto mesi.
    - Oh, il mio braccialetto! – Esclamò, facendo un passo verso di lui.
    - No, aspetta!
    Troppo tardi.
    Uno scricchiolio e gli occhiali finirono in pezzi, calpestati dal grazioso piedino della futura mamma.
    - Oh, scusami! Non li ho visti! – Esclamò contrita.
    Marco rise:
    - Con quel pancione, come avresti potuto? I nostri gemelli sono ingombranti!
    L’abbracciò e si recò dall’ottico del centro commerciale per comprarne un altro paio: impensabile affrontare le onde senza.
    Il negozio era quasi vuoto; un vecchio male in arnese stava discutendo pacatamente con il gestore.
    - Pagherò la riparazione un po’ alla volta, glielo giuro! – disse portando una mano sul cuore, come i calciatori durante i mondiali quando viene suonato l’inno nazionale.
    - Non posso! – Replicò l’uomo – Non posso mica fare credito a tutti! Non mi interessa se non hai i soldi, devo lavorare e guadagnare, io, ho famiglia, e poi le tasse mi strangolano. Vai via, vecchio, torna con i soldi e riavrai i tuoi occhiali.
    Marco si avvicinò, colpito dalla scena.
    - Pago io, e compro anche questi, - esclamò, posando un paio di occhiali da sole sul bancone.
    Il vecchio lo guardò per ringraziarlo e Marco trasalì.
    Tutto il passato gli sfilò davanti, nitido, come se non fosse trascorso nemmeno un minuto, invece di otto anni.

    Era stato un ragazzo insoddisfatto, ricco e, proprio per questo, senza più desideri.
    Una sera, in un bar, aveva incontrato un compagno della palestra:
    - Vuoi divertirti con un pizzico di rischio?
    La noia lo aveva spinto a seguirlo. Avevano raggiunto altri due che non conosceva e, in moto, erano andati sul lungo Tevere, vicino a un capanno malmesso.
    L’uomo seduto davanti all’ingresso, al loro arrivo, non si mosse. Ignorò provocazioni e insulti, finché i quattro lo circondarono e cominciarono a strattonarlo. Poi lo picchiarono. Fu un pestaggio violento e crudele.
    Coperto di sangue, l’uomo era caduto a terra e non si era più mosso.
    Prima di andarsene, i teppisti avevano incendiato il suo rifugio, quattro assi male assortite.
    Si erano infine fermati in un bar del centro a gozzovigliare e a darsi pacche sulle spalle, orgogliosi della bravata.
    - Sai picchiare, - gli aveva detto uno di loro, - se vuoi, potrai essere dei nostri; ogni tanto andiamo a fare giustizia e liberiamo la città dalla feccia.
    Marco non aveva risposto, si era limitato a sorridere e a ingollare un sorso di birra offerta da quello che sembrava il capobanda.
    - Sei scosso, capisco, - continuò l’altro – la prima volta può essere scioccante. Pensaci.
    Un errore banale lo aveva fatto arrestare.
    Mentre lo strattonava e lo picchiava, l’uomo del capanno si era aggrappato, strappandola, alla tasca in cui teneva il portafogli che era caduto a terra.
    L’uomo era stato soccorso da un altro barbone che aveva fermato un passante e la polizia era stata chiamata.
    Convocato dal magistrato per un chiarimento, Marco non riuscì a giustificare la presenza del suo portafogli sul luogo dell’aggressione, si impappinò nelle risposte e si tradì.
    Fu trattenuto, processato e condannato a sette anni di carcere. L’uomo aggredito non era morto, anche se giaceva in rianimazione e la sua condizione era seria.
    Non tradì mai i suoi compagni; la famiglia gli voltò le spalle.
    In carcere si era tenuto lontano dagli altri perché aveva ribrezzo di sé e di loro.

    Dopo otto anni, l’orrore di ciò che aveva fatto lo travolse di nuovo: quello era l’uomo che aveva aggredito.
    Il vecchio non lo riconobbe, non avrebbe potuto, non gli avevano lasciato il tempo di guardarli in faccia.
    Marco avrebbe voluto inginocchiarsi davanti a lui, chiedergli perdono, ma la vergogna lo bloccava.
    Da quando era uscito dal carcere aveva cercato di espiare la sua colpa aiutando gli altri, grato di aver capito, anche se a caro prezzo, quanto futile fosse la sua vita precedente; grato di aver trovato una donna che lo amava, nonostante ciò che aveva fatto, e che ora lo avrebbe reso padre.
    - Grazie, amico! – La voce del vecchio interruppe i suoi pensieri. - Mi voglio sdebitare. Vieni, so leggere i tarocchi, ti farò le carte.
    Marco lo seguì perché aspettava l’occasione favorevole per svelare la propria identità e ottenere il perdono.
    - Sai, guadagno un po’ di soldi con questa attività, specie con i turisti; ora, però, sono pochi e mi trovo un po’ in bolletta.
    - Non importa, ti ho aiutato volentieri, – replicò Marco a disagio – anzi, ti devo molto di più.
    Il vecchio lo guardò incuriosito, poi cominciò la lettura.
    Sbiancò.
    - Sei stato tu, insieme ad altri tre a mandarmi in fin di vita. - Mormorò.
    - Sì, - ammise Marco, piangendo lacrime di pentimento e di dolore, – ti chiedo perdono. Non incolperò del mio comportamento le cattive compagnie, da giovane ero un disgraziato. Il carcere mi ha cambiato: sono diverso, ho capito i miei errori e ho cercato di espiare, in qualche modo. A mia moglie ho raccontato tutto e tra poco sarò padre.
    Per un attimo la voce gli venne meno, ma si forzò a continuare. - Voglio aiutarti, - continuò – ti lascerò dei soldi o, meglio, potrei assumerti come guardiano del mio capanno sulla spiaggia.
    - Non è necessario, – rispose il vecchio, – dopo il pestaggio sono andato in coma, ma quell’esperienza ha cambiato la mia visione della vita.
    Riprese le carte e le sciorinò per leggere il futuro. Ciò che vide lo rattristò:
    Marco avrebbe affrontato le onde, ma per l’ultima volta, perché, proprio mentre le cavalcava beato, uno tsunami lo avrebbe travolto.
    - Fai del bene! – Le parole di Ines gli risuonarono nella mente – Ti sarà dato un dono…
    Sapeva che, per conservare il dono della preveggenza leggendo i tarocchi, non poteva svelare né il giorno né le modalità della morte e, assolutamente, non poteva cercare di impedirla, ma voleva salvare il giovane che si era pentito del male fatto e poi non gli sembrava giusto che due bimbi nascessero senza un padre; anche la moglie non meritava una sofferenza così grande.
    Pensò al suo dono e al misterioso libretto: faceva parte dello stesso pacchetto e pensò ci fosse una correlazione.
    - Oggi cavalcherai delle onde formidabili, - disse – i tuoi gemelli nasceranno sani. Non angustiarti più, io ti ho perdonato, sei sinceramente pentito e mi sembra che tu abbia pagato abbastanza. Per dimostrarti il mio perdono, ti voglio fare un regalo, ma non possiedo molto, lo sai. Ti dono questo libretto, portalo sempre con te.
    Sconcertato ma sollevato, Marco prese il libro e abbracciò il vecchio.
    - Mi raccomando, - ribadì Anselmo – porta sempre con te il mio libretto.
    L’insistenza del vecchio convinse Marco a dargli retta: quell’uomo aveva qualcosa di enigmatico, quasi di profetico, aveva indovinato il suo passato, sapeva dei gemelli; pareva circondato da un alone di magia.
    Una volta in spiaggia, lasciò la sacca con il libro a terra e partì sulla tavola, leggero e felice come mai prima di allora.
    A un tratto si preoccupò: le onde si erano incredibilmente ingrossate e, allo stesso tempo, si stavano ritirando dalla riva.
    Gli mancò il fiato. Uno tsunami! Era in arrivo uno tsunami! Il ritiro dell’acqua dalla riva ne era un effetto. Non aveva via di scampo, era perduto.
    La sua vita, finita.
    Non avrebbe mai conosciuto i suoi bimbi, Clara sarebbe rimasta sola. Mille pensieri affollarono la mente, gli rimanevano pochi minuti, forse addirittura pochi secondi di vita.
    Non riusciva a rassegnarsi, mentre si guardava intorno cercando, inutilmente, una via di scampo.
    Il vento si fece impetuoso, rendendogli difficile respirare. Sulla spiaggia si sollevavano nuvole di sabbia. Lo zaino fu ribaltato e ogni oggetto trascinato fuori.
    Il libro rotolò di qualche metro, poi si fermò, aperto, alla pagina centrale in cui era disegnato l’unicorno.
    L’animale si materializzò e volò verso Marco. Si abbassò vicino a lui e disse:
    - Sali sulla mia groppa, tieniti forte alla criniera; non temere, sono qui per salvarti.
    Marco, come in trance, ubbidì. Prima di portarlo in salvo, l’unicorno volò sulle onde che diminuirono la loro forza: lo tsunami non sarebbe stato disastroso.
    Sulla spiaggia il vecchio, che aveva assistito alla scena, sorrise; restando ancora sulla Terra aveva scontato gli ultimi peccati e salvato i gemelli dai pericoli di una vita difficile. Il vento era ancora fortissimo, ma le sue vesti e i suoi capelli non si muovevano: nulla avrebbe potuto sfiorarlo, perché si trovava, ormai, in un’altra dimensione.
    - Anselmo, - chiamò la cara voce – vieni, è il momento. Dammi la mano, tesoro.
    - Finalmente! – Sospirò con un sorriso.

    Edited by Ida59 - 19/4/2023, 18:49
     
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