Il segreto di Ida

La sfida dell'Unicorno

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    50

    Status

    Scarpette e tutù



    1



    Il soldato russo esaminò con estrema lentezza i documenti dei passeggeri, poi aprì le sbarre e il convoglio transitò nella terra di nessuno, per raggiungere infine la frontiera finlandese. I controlli, qui, furono più veloci e i viaggiatori si rilassarono: era fatta, il viaggio poteva continuare serenamente verso la destinazione finale.
    Raggiunto l’albergo, si avventurò fuori Honningsvag, agli estremi del bosco, sfidando il freddo intenso e, finalmente, raggiunse la casupola dello sciamano di cui aveva sentito parlare in più di una conferenza sull’esoterismo.
    Un fil di fumo e, intorno, il nulla.
    - Entra, - l’esortò l’uomo, poi gli prese la mano e la portò al livello del cuore. Una leggera nebbia li avvolse entrambi.
    Avrebbe voluto chiedere, dare spiegazioni, ma lo sciamano intimò:
    - Shtt! Taci!. Non servono parole. Ho capito ciò che ti serve.
    Si allontanò per pochi minuti e tornò con una scatola di legno intarsiato.
    L’aprì.
    Conteneva un mazzo di tarocchi e un libro dalla copertina di pelle consunta, con incisa la lancia di Odino.
    - Potrai credere alla capacità divinatoria delle carte oppure no: esse ti diranno comunque il passato e sveleranno il futuro; l’esperienza ti convincerà. Tratta, però, con molta attenzione il libro, ha un potere straordinario.
    Lo sfogliò, mostrandone le pagine tutte bianche, intonse.
    - Non sorprenderti, il libro stesso ti guiderà, al momento giusto: basterà poggiare la mano sinistra sulla lancia di Odino e far combaciare il pollice con un incavo che non si vede, ma si sente solo al tatto.
    Con un cenno della mano rifiutò i soldi e si ritrasse.
    - Non voglio nulla, queste cose non si pagano.
    Sedette su una poltrona sgangherata, un gatto rosso gli saltò in braccio e prese a fare le fusa. Lo sciamano chiuse gli occhi e si addormentò.


    2



    Vlady entrò nella sala prove convinto di trovare i ballerini intenti al riscaldamento, indispensabile prima del balletto per non avere crampi e non stressare muscoli e tendini.
    Coreografo e direttore della scuola “A passo di danza”, ne era anche l’insegnante intransigente.
    Era stato primo ballerino al Bolshoi Ballet Academy di Mosca e aveva collezionato un successo dietro l’altro. Per lui la danza era tutto, richiedeva dedizione assoluta e ogni pensiero della giornata.
    - Costanza! – Esclamò infuriato – Ancora? Ancora queste sciocchezze?
    La prima ballerina della compagnia, sua pupilla, colta sul fatto mentre si dedicava al suo hobby, arrossì e si affrettò a radunare i tarocchi che stava leggendo a una compagna.
    - Perdonami, maestro, - si scusò – ci stavamo riposando un po’ e ne ho approfittato per…
    - Non esiste riposo, solo concentrazione, nella danza! Te l’ho detto tante volte, non interessarti a quella roba! – La interruppe Vlady – Solo danza, danza, danza nella tua mente, non studi su ascendenti, date di nascita e altre baggianate che sottraggono tempo prezioso e attenzione.
    - Sì, maestro, - acconsentì la ragazza, pensando che non avrebbe certo abbandonato la lettura delle carte in cui credeva, però non le avrebbe più portate in accademia.
    Vlady parve averle letto nel pensiero, perché continuò la sua predica.
    - Pensare alla predizione del futuro toglie energia alla tua mente, che deve dedicarsi solo ai passi, all’atmosfera da creare seguendo la musica, alla passione che devi trasmettere al pubblico per trascinarlo nel mondo incantato del balletto, farlo girare con te nelle pirouettes, sbalordirlo con i jetè, confonderlo con gli arabesque e farlo tuo, vederlo spellarsi le mani applaudendo, adorante, in piedi per te, misteriosa creatura di un mondo fatato.
    - Sì, maestro. – rispose chinando il capo.
    Non contento, Vlady rincarò la dose.
    - Solo la dedizione assoluta sarà ripagata. Non credo alla veridicità delle carte e sono convinto che la loro lettura ti tolga concentrazione. Ti invito, Costanza, a dimenticare queste sciocchezze, a non praticarle più, nemmeno a casa, se hai ancora intenzione di affrontare l’esame per entrare nel corpo di ballo del teatro Alla Scala.
    La ballerina tacque sconcertata dalle parole dell’uomo: come poteva affermare di non credere alle carte, quando sapeva bene che avevano predetto successi, flop e infortuni, indovinando sempre?
    Lo guardò, ma il maestro le aveva già voltato le spalle per invitare il pianista a riprendere la musica.

    3



    In ufficio, Vlady stava esaminando i conti. Le entrate superavano di poco le uscite: era necessario un margine di guadagno più alto.
    La scuola offriva tre tipi di corsi: principianti, allievi medi e ballerini completi.
    Sarebbe stato utile incrementare le iscrizioni al primo corso, per avere un vivaio di ballerini da iniziare alla carriera, come Costanza, e per incrementare le entrate. Erano, inoltre, pochi i maschi. Fortunatamente l’opinione comune non considerava più come omosessuali i ballerini, però il loro numero era ancora esiguo.
    Si abbandonò sulla poltrona girevole, volta verso la vetrata affacciata sul centro della città. Ripensò a se stesso bambino, iniziato alla danza classica dalla madre, grande appassionata. Erano poveri e lei lavorava giorno e notte per pagare le lezioni, contro il volere del padre, che lo avrebbe voluto avvocato o medico e che, deluso, aveva comunicato, sprezzante, che non avrebbe speso un solo rublo perché imparasse pliès e pas de chat.
    Era stato un talento puro, da subito. Si rivide nei passi a due con le grandi ballerine che aveva conosciuto: il senso di vuoto, il morso della mancanza e della nostalgia lo assalirono, la solita immensa malinconia lo avvolse col suo velo grigio.
    Lo sguardo si posò sul cartellone che pubblicizzava il nuovo centro commerciale, aperto da poco.
    Un’idea prese corpo nella sua mente e corse al supermercato per chiedere di essere ricevuto dal direttore, suo amico da quando si erano incontrati durante una conferenza sui testi sacri degli antichi egizi.
    - Caro amico, ti propongo uno spettacolo di danza nella grande hall del centro commerciale. Ne saremmo avvantaggiati entrambi. – Spiegò – Io farei pubblicità alla mia scuola, tu al tuo centro. I gestori dei ristoranti potrebbero offrire assaggi e gli altri negozi buoni sconto con la spesa di una certa cifra. Insomma, tutti ne guadagneremmo. Se sei d’accordo predispongo tutto io.
    Il direttore accettò.
    Tornato a scuola, Vlady informò i ballerini dell’iniziativa e incaricò Costanza di controllare gli operai che trasportavano le assi del palcoscenico mobile dal seminterrato al camion.
    La ragazza non era mia stata laggiù e, mentre gli uomini svolgevano il loro lavoro, curiosò tra gli arredi di scena e le quinte, perdendosi nei paesaggi campestri di Giselle, curiosando nella Spagna di Don Chisciotte, fermandosi accanto all’albero di Natale dello Schiaccianoci.
    In un angolo, un po’ defilato, trovò un vecchio baule di vimini.
    Lo aprì.
    Svariati tutù fecero capolino invitanti: uno rosa, un altro verde, un altro ancora con tutte le gradazioni di azzurro fino al blu notte. Li sollevò ammirandoli. Sotto, le scarpette da punta abbinate.
    Sul fondo del baule un libro dalla copertina di pelle, senza titolo.
    Lo sfogliò.
    Dai ritratti fotografici, ballerine del passato le sorridevano, pettinate con il classico chignon, alcuni abbelliti da una coroncina di fiori, altri con nastri colorati.
    Costanza sedette a terra, persa a sfogliare il libro che conteneva la storia della danza. Sotto ogni ritratto, oltre al nome della ballerina, i passi più famosi, i successi più esaltanti.
    Il cuore accelerò i battiti quando arrivò il ritratto della famosa Olga Ivanova. La testa inclinata verso sinistra, poggiata sulle mani che si congiungevano appena sotto il mento, la grande ballerina la guardava con gli occhi più dolci mai visti, forse dedicati a un amore nascosto dietro l’obiettivo.
    Passò con riverenza il dito sui capelli biondi, divisi da una scriminatura in due bandeaux sopra le orecchie.
    Lesse rapida l’elenco dei successi cercando, avida, la descrizione del passo che l’aveva consacrata definitivamente tra le étoile della danza: la tripla pirouette en dedan con salto. Apparteneva solo a Olga, nessun altro era riuscito a imitarla e ora le spiegazioni su come eseguirla erano lì, sotto i suoi occhi.
    Strinse al petto il libro e corse da Vlady.
    - Una scoperta meravigliosa! – Commentò il maestro – Sei di sicuro in grado di realizzare il passo.
    - Sono agitatissima, mi aiuterai, vero?
    - Certo, carissima! Avrai tutta l’assistenza e l’appoggio da parte mia. Questo passo è doppiamente importante.
    - Non capisco.
    - E’ importante per te come artista: l’unica a emulare la grande Olga Ivanova: come lei, la tripla pirouette lancerà te nel mondo.
    Chiuse gli occhi e continuò sospirando:
    - Il Covent Garden, l’Operà, il Bolshoi…- Terse, furtivo, una lacrima.
    - Maestro, - lo richiamò Costanza.
    Vlady si riprese:
    - Mostrerai questo passo durante lo spettacolo al centro commerciale, sarà una grande pubblicità; non possiamo aspettare che l’intero balletto sia finito per eseguirlo a teatro. La nostra scuola ha un grande bisogno di iscritti.


    4



    Grandi e calorosi applausi accolsero la realizzazione della tripla pirouette eseguita da Costanza nella sala prove.
    - Bravissima! – La elogiò Vlady, commosso – L’hai eseguita proprio come lei.
    - Maestro, ma l’hai conosciuta? – Chiese la ragazza.
    - No, no, - si affrettò a rispondere – l’ho vista a teatro. Bene, ragazzi, le prove sono perfette, domani sarà il grande giorno. Le locandine hanno invaso la città già da un po’ e mi aspetto una grande affluenza. A domani. Costanza, vieni un momento nel mio ufficio.
    Sulla poltrona girevole era poggiato il tutù azzurro ammirato nel baule di vimini; accanto, le deliziose scarpette da punta blu notte.
    - Indosserai questo tutù, è bellissimo, inoltre le gradazioni di colore arricchiscono l’effetto delle pirouettes.
    Felice, la ballerina prese costume e scarpette per portarli nel proprio camerino.
    Il giorno dell’esibizione interrogò, com’era solita fare, i tarocchi.
    Sbiancò.
    Le carte indicavano il pericolo di morte.
    Rifece la lettura, frenetica, ma il risultato non cambiò.
    Cercò Vlady.
    - Maestro, non inquietarti, ti prego. Non posso eseguire il passo, le carte hanno previsto il pericolo di morte, e tu sai che difficilmente sbagliano. Forse è meglio sospendere tutto.
    - Sciocchezze, stupidaggini per cervelli deboli, malati! – sibilò Vlady.
    Poggiandole le mani sulle spalle e avvicinando il viso al suo, continuò:
    - La scuola ha bisogno di iscritti, capisci? Ne ha estremo bisogno, potrebbe chiudere, altrimenti. Oramai l’esecuzione del famoso passo è stata annunciata e ho invitato anche il direttore del Teatro Alla Scala. Vuoi farmi fare una figuraccia? E’ questa la tua gratitudine? Questa la solidarietà verso di me e i tuoi compagni?
    Costanza sentiva sulla pelle l’alito caldo e pesante del maestro che, nella foga, vi aveva lasciato anche tracce di saliva.
    Voltò la testa, disgustata e amareggiata. Avrebbe voluto ritrarsi, ma le mani di lui, simili ad artigli, la stringevano spasmodiche.
    - No, no, Maestro, io credo al potere delle carte, non voglio eseguire il passo. – insistette spaventata.
    Vlady la guardò con odio.
    - Se non lo farai, - sibilò – dovrai lasciare la scuola. Ho molte conoscenze, non lavorerai mai più, te lo assicuro. Dì pure addio alla Scala.
    Costanza abbassò la testa e mormorò:
    - La danza è tutto, per me. Non so fare altro.

    Mancavano ormai poche ore allo spettacolo e, seduta sul divano di casa, Costanza era prostrata: cercava, invano, una via d’uscita.
    Chiuse gli occhi. Rischiava di morire: le carte avevano un margine di errore, ma piccolissimo. Se non partecipava allo spettacolo, tutte le porte, per lei, sarebbero state chiuse. Disperata, si arrovellava su come tutelare la propria incolumità, forse la stessa vita e mantenere il rispetto dei compagni e del maestro, salvaguardando il suo futuro.
    Davanti agli occhi si materializzò il ricordo della vecchia che le aveva insegnato la lettura dei tarocchi. L’ultima volta che l’aveva vista, dopo averle predetto che la danza sarebbe stato il suo futuro, le aveva regalato un ciondolo d’oro, un cerchio con tre piccoli unicorni al centro, suggerendole di indossarlo in un momento critico della vita: il piccolo gioiello l’avrebbe protetta.
    Lo mise al collo e si avviò incerta verso il centro commerciale.

    5



    Vlady, arrivato molto presto, si avviò verso le quinte e raggiunse l’attaccapanni a parete su cui erano appesi i costumi di scena e sotto, nell’apposito vano, le scarpette.
    Con tocco febbrile e un lampo di malignità negli occhi, sfiorò i lacci di quelle che avrebbe indossato Costanza, poi estrasse dallo zaino il libro in pelle, lo accarezzò amorevolmente e toccò la lancia di Odino incisa sulla copertina, sfiorando l’incavo segreto.
    Soddisfatto, ripensò all’idea geniale di far ritrovare a Costanza stessa il libro con la descrizione del famoso passo e la foto di Olga.
    - Ho calcolato tutto, amore mio, ogni cosa sarà come allora.
    La voce di Costanza lo riportò alla realtà:
    - Maestro, sei già qui?
    Rimise il libro nello zaino, sperando che la ragazza non avesse afferrato le sue parole.
    - Sì, volevo assicurarmi che fosse tutto in ordine.
    Guardò la ballerina e sorrise.
    - Sono felice che tu sia qui, - aggiunse – non temere, penserò io a te. Cambiati, poi ti aiuterò a indossare le scarpette, con quel tutù voluminoso faresti fatica e i lacci vanno annodati bene.

    Alla spicciolata arrivarono gli altri ballerini, poi il salone fu gremito.
    Applausi, fischi di approvazione e la richiesta di qualche bis accolsero le varie esibizioni.
    Arrivò il momento di Costanza.
    La ragazza, trepidante, prima di entrare in scena toccò il ciondolo, ripetendo ossessiva, dentro di sé, la richiesta di protezione.
    Notò che Vlady aveva ripreso il libro e si era seduto di fronte al palco, ma non ebbe tempo di pensarci troppo perché le prime note risuonarono, reclamandola.
    Leggiadra silfide, si mosse incantando la platea e cominciò la pirouette.
    Le scarpette, allacciate in modo approssimativo, non resistettero allo sforzo e si slacciarono nel momento più pericoloso, quando, alla seconda pirouette, Costanza avrebbe dovuto prepararsi al salto per poi affrontare la terza. La ballerina inciampò nei lacci ormai sciolti e cadde, battendo la testa.
    Il pubblico ammutolì e nessuno badò a Vlady che, con il libro aperto nel punto in cui Olga sorrideva dalla foto, muoveva le labbra come se stesse pregando.
    Un fumo grigio uscì dalla pagina e invase il palcoscenico; la foto di Olga prese a ingrandirsi sempre più, finché la ballerina apparve, richiamata in vita dalle parole di Vlady.
    - Vai, amore mio, vai! Ho ricreato la stessa situazione in cui, per quel passo maledetto, sei morta battendo la testa: il pubblico in attesa, il tuo tutù, le stesse scarpette, la medesima musica. Tutto come allora, come mi ha suggerito il libro quando ho inserito la mano nel punto giusto, pensando a te. Vai, saremo ancora insieme.
    Olga si avvicinò a Costanza per entrare nel suo corpo e prenderne possesso, mentre l’anima della ragazza si avviava verso il libro per occupare il posto di Olga.
    L’essenza della morta emanava un freddo intenso che ridiede vigore a Costanza, solo svenuta. La ballerina spalancò gli occhi, inorridita e incredula.
    Vlady si avvicinò al palco protendendo il libro verso la ragazza per accelerare lo scambio.
    Una luce accecante illuminò il palcoscenico: i tre unicorni usciti dal ciondolo si frapposero tra le due ballerine, trattenendo l’anima di Costanza. Olga indietreggiò e il cerchio, che prima racchiudeva le creature magiche, la inglobò.
    - No! – Gridò straziato Vlady e, nel tentativo di fermare il suo amore, si gettò nel cerchio, che iniziò a ruotare su se stesso.
    Un lampo, e i due sfortunati amanti svanirono per sempre, lasciando sulla scena le ceneri del libro magico.
    Il fumo grigio si disperse.
    Costanza fu soccorsa dal medico dell’ambulanza che presidiava il luogo in occasione dello spettacolo:
    - C’è stato un guasto all’impianto di areazione e il fumo ha invaso l’atrio. Deve essere stata questa la causa del suo malore.
    Istintivamente la ragazza toccò il ciondolo. Subito si diffuse in lei una sensazione di benessere e di calore che, prima, il piccolo gioiello non le aveva mai trasmesso.
    Intuì che doveva essere successo qualcosa di strano, ma era confusa, come se avesse vissuto un brutto sogno.
    La raggiunse il direttore artistico del teatro Alla Scala di Milano.
    - Cara ragazza, spero tu stia bene. Mi hai incantato mentre ti muovevi eterea sul palco, con grazia e precisione nei passi davvero rare; mi hai ricordato la grande Olga Ivanova. Vlady non te l’ha mai detto?
    - No…
    Il direttore la interruppe:
    - Comprensibile, non ne parla volentieri, visto l’accaduto. Olga era la sua fidanzata, è morta eseguendo proprio il passo che stavi per intraprendere tu. Un dolore devastante!
    Costanza rimase a bocca aperta. Guardò le scarpette slacciate, ricordò il maestro vicino ai costumi e lo rivide mentre la osservava ballare con quello strano libro tra le mani.
    Vlady aveva voluto a tutti i costi che lei ripetesse i passi che avevano causato la morte dell’amata Olga.
    Lui le aveva allacciato le scarpette che si erano poi allentate.
    Voleva che morisse anche lei?
    Aveva visto Olga vicinissima a sé e si era sentita svuotare: era stato un sogno?
    Il mistero non sarebbe mai stato svelato perché Vlady era introvabile: forse era scappato, travolto dal senso di colpa, quando lei era caduta?
    Si sentì tradita, maltrattata, frustrata, profondamente addolorata. Scoppiò in un pianto dirotto.
    - Su, su, - la spronò il direttore, fraintendendo le lacrime – alcune storie d’amore sono davvero tragiche, occorre rassegnarsi, la letteratura ne è piena: del resto, se fossero tutte a lieto fine, non sarebbero mai nate le grandi opere come quelle di Shakespeare, per esempio, ti pare?
    Le schiacciò l’occhio e continuò:
    - Sono qui per proporti di entrare nel corpo di ballo della Scala. Non puoi rifiutare questa grande occasione, e immagino che non lo farai, vero?
    Un sorriso radioso illuminò il viso della ragazza, la mano di nuovo a stringere il ciondolo e una sola parola nella mente: grazie!

    Edited by Ida59 - 10/5/2023, 18:31
     
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    142

    Status

    OCCHI DI GIADA



    UNO o L’INCONTRO


    uno



    Sì, sono io, in primo piano, immortalato nello scatto, postato su Google, di un inconsapevole turista.
    Anche oggi il gentile sorriso di Beatrice mi ha accolto salendo il gradino del Bogory's Café e, consultato il menù, ho ordinato un filet de poulet à la florentine. Non è un piatto sofisticato; in cucina variano ogni giorno a seconda del mercato servendo le specialità dei quattro angoli della Francia.
    In attesa di pranzare penserò in quante migliaia di immagini compaio: del resto, qui a Parigi, si è certi di incrociare i fili della vita di altri.
    Ma pensavo di essere anonimo finché la giovane donna col vassoio non mi ha chiesto se poteva occupare un posto al mio tavolo.
    - Prego, madame, - tentando, a fatica, di issarmi per accoglierla.
    - Non si scomodi, grazie. Piacere, mi chiamo Sabine. Sabine Forestier.
    E allungando la mano, morbida, intiepidita di un calore remoto, urtai il grosso anello di ottone.
    Quello sicuramente antico.
    - Sa, la vedo spesso. – Confidò senza preavviso, mentre con la forchetta distribuiva, maniacale, il cibo nel piatto: ripartiva il verde dei legumi, il rosa del pesce e il giallo delle patate al forno in modo uniforme, ben spaziati.
    - Come? – Stupito.
    - Sì, ai Magazzini Lafayette: lavoro in una profumeria a piano terra. - Spiegò. – Ah, guardi, arriva Beatrice.
    La cameriera appoggiando il piatto, canzonandomi, disse:
    - Ehi, monsieur Baptiste, ha fatto una conquista?
    Ero imbarazzato e divertito, e non so definire in quale misura predominasse l’uno sull’altro, ma ero anche compiaciuto. Una bella ragazza davanti a me: da troppo tempo non capitava. Inavvertitamente sorse il dubbio:
    - Chi è lei, signorina? Una spia? Non credo. Deduco desideri qualcosa. Sì, ma cosa?
    - Solo curiosità. Femminile curiosità. – Intanto punzecchiava e masticava la pietanza, scegliendo con cura tre ingredienti, dando l’impressione di pareggiare i bocconi di cibo.
    - Quindi è una spia. KGB o CIA? Oppure Mossad, o, più banalmente, un locale 007? – Tentai burlone.
    - Tranquillo, monsieur Baptiste. Baptiste La Corse: insegnante di cartografia, fino a cinque anni fa, presso l'Institut Géographique National al 73 dell’avenue de Paris di Saint Mande, ora in pensione. – E sorrise compiaciuta dal bordo del calice di pinot grigio.
    Esterrefatto, boccheggiai con la forchetta a mezz’aria:
    - Come? Come conosce…- Guardai Beatrice, l’eventuale delatrice. Impossibile.
    - E prima di insegnare cercava tesori in fondo al mare, in amazzonia, in Messico, o nel Mediterraneo. Vero, monsieur Baptiste? - Questa volta rise, e un paio di avventori si voltarono per l’argentino disturbo.
    Scostai il piatto abbattendo il bicchiere e inondando di rosso il piccolo tavolo.
    - Che disastro! È colpa mia. L’ho presa alla sprovvista. Mi permetta di rimediare. Beatrice un altro bicchiere per il professor La Corse.
    - No! Ne ho abbastanza. - Scossi l’aria con la mano scacciando tutti, soprattutto quella Sabine sconosciuta Forestier. Ma dovevo ancora subire.
    - Mi scusi tanto. Sono mortificata. – E l’espressione contrita dimostrava il pentimento.
    - È un po’ tardi, signorina. Nessuno le ha permesso così tanta importunità. Ora la lascio alla sua maleducazione, in compagnia della quale starà benissimo. A mai più.
    Mi alzai di scatto, ma barcollai e seccato rifiutai sdegnato l’aiuto della signorina creando ulteriore trambusto.
    Oramai non era più possibile rimanere, ma le lacrime affrante di Sabine mi convinsero a soprassedere; era una situazione assurda.
    Sarebbe stato più logico che un vecchio importunasse una giovane, e invece:
    - Mi perdoni, - le uscì fra un singhiozzo e una lacrima – non era mia intenzione sconvolgerla. Sciocca. La riconosco quando entra nei magazzini con aria trasognata, come se s’aspettasse un miracolo, poi s’aggira, guarda e scuote il capo. Ecco, pare cerchi qualcuno. Per questo motivo mi sono permessa di…
    La guardai, mi concessi alcuni minuti per osservarla e intercettai il movimento ossessivo sul grande anello martirizzando il pollice; poi giunse le mani e dagli occhi imploranti sfuggì una preghiera.
    Da troppo tempo tacevo; la confidenza sradicò le perplessità e la pregai:
    - Oggi è libera? Non ha turni da rispettare? Bene. Allora m’accompagni. Andiamo ai magazzini Lafayette.
    Indossai il soprabito e uscimmo dal Bogory's Café. Lei, aprendo la porta, urtò l’anello sulla maniglia con un colpo secco tanto che cadde; urgente lo raccolsi e l’osservai con attenzione.
    Un balzo della memoria mi assalì: diciassettesimo secolo; scritta in latino in caratteri gotici, forse un motto; un unicorno alato cavalcava lo scudo nobiliare raffigurante una torre con tre fiammelle.
    Cosa mi ricordava?
    Camminando affianco, mi decisi a confermare, anche se ancora risentito, le scoperte della maldestra detective Sabine:
    - Sì, ho cercato tesori perduti e quasi mai ritrovati. Ho navigato sull’oceano atlantico, nei Caraibi perlopiù; come bucanieri rubavamo al mare i suoi segreti. Tanti insuccessi, e poche soddisfazioni. Però, quali avventure! – Rievocai. - Noi, scapestrati, col rischio in poppa: fremere per un doblone d’oro e insistere, coriacei, sotto un sole tremendo o in tempeste terribili. La morte era là, dentro un relitto.
    Sabine ascoltava coinvolta mentre percorrevamo i larghi marciapiedi dei boulevard Montmartre prima e Hausmann a seguire; s’era fatta vicina, poi senza preavviso si aggrappò al braccio.
    Non protestai.
    Oramai stanco di narrare, all’altezza della Banca Paribas, mi decisi a chiedere:
    - Sabine, cosa vuole da me?
    Mi rispose con una domanda troppo intima, dolorosamente intima:
    - Lei cosa cerca con lo sguardo quando entra nei magazzini?
    Mi fermai. Il tempo si fermò. La gente scomparve. Il traffico svanì.
    - Anna. – Sfuggì. – Lì, mentre annusava un profumo, s’è voltata e, - il groppo in gola mi strozzava, allentai il colletto – ci siamo visti.
    Un passo incerto, una commozione.
    - Ecco chi cerco.
    Il turbamento mi tormentava e avrei desiderato essere in tutt’altro luogo, lontano da quello sguardo tra lo smarrito e l’assecondante.
    Dava l’impressione di conoscere anche lo spicchio privato del mio passato; scalpitavo in attesa di un addio definitivo, ma il caso, indifferente e mascalzone, mi sfidò, sornione, e si dichiarò così:
    - Ho la possibilità di esaudirla. – Promise Sabine. – Mi segua. Devo svelarle un segreto.




    DUE o L’ARCANO


    due



    E fu così. Incredibilmente.
    Mi lasciai trascinare in ciò che qualsiasi essere umano avrebbe definito soprannaturale.
    Entrammo nei magazzini Lafayette come normali clienti.
    Evitammo accuratamente le scale mobili svicolando verso il lato destro rispetto all’entrata; Sabine, celere, mi invitava ad accelerare il passo poiché m’imbambolavo, come sempre, a guardare in su.
    La cupola vetrata, sette piani più in alto, dominava i balconi dorati e rutilanti, colmi di negozi contigui, affollati da curiosi e turisti, affaccendati a portarsi a casa un qualsiasi oggetto per poterlo esibire ai conoscenti, dimostrare che Parigi valeva la pena anche solo per quello, enfatizzava la grandiosità della cattedrale dedicata a ogni genere di mercanzia.
    Noi, invece, spediti, raggiungemmo gli ascensori dall’anima decò, luccicanti di ottone, ma silenziosamente moderni e, raggiunto il quarto piano, c’infilammo in una porta anonima tramite un badge aziendale.
    Percorremmo solitari corridoi, finché, verificando circospetta, Sabine mi introdusse in uno stanzone pieno di scaffali metallici che ospitavano innumerevoli raccoglitori portadocumenti neri identificabili da sigle progressive.
    Perplesso mi soffermai a guardare e alzai il mento per chiedere spiegazioni:
    - Pazienti un poco; le spiegherò. – Garantì.
    Infine, circa a metà del magazzino, si fermò.
    Estrasse una comune scatola dalla quale scaturì una vecchia custodia in pelle macchiata.
    Srotolata, mise in mostra il frontespizio.
    Riportava l’immagine ingrandita di un cerchio, filettato d’oro, dentro il quale un unicorno alato cavalcava uno scudo raffigurante una torre sormontata da tre fiammelle e una scritta alla sommità: unicornis mirabit, l’unicorno risplenderà.
    Sorrise al mio stupore:
    - Esatto, monsieur Baptiste, proprio come sull’anello.
    Ecco.
    Di botto rammentai: tanti particolari, accantonati nella memoria assalirono la mente.
    La stessa immagine si trovava sulla bandiera del conte Ramirez Esteban de La corte Casablanca, comandante spagnolo di una spedizione nelle Americhe, di cui si persero le tracce nel 1640 o giù di lì, mentre portava in Spagna leggendari tesori.
    Quello era il suo diario di bordo.
    Avevo tra le mani l’eldorado dei cercatori di tesori.
    Si favoleggiava che il carico delle tre navi avrebbero salvato le finanze di Filippo IV, detto il Re Pianeta tant’erano immensi i suoi domini, durante la guerra contro la Francia di Luigi XIII; combattuta perlopiù nelle Fiandre e in Italia, durò la bellezza di oltre trent’anni con la sconfitta della Spagna perdendo così l’egemonia sull’oceano atlantico.
    Mi ricordai inoltre del documento conservato nell’Archivo General de Indias a Siviglia: elencava, in varie pagine di carta pergamenata, un elenco dettagliato dello stivato a firma del Ramirez, conte di Casablanca, spedito molto prima di salpare.
    Ma le tre navi non giunsero mai in patria.
    Era il sancta sanctorum, il sacro Graal degli avventurieri moderni: per il suo possesso alcuni avrebbero anche ucciso.
    Barre d’oro a profusione, smeraldi e pietre preziose, statue Inca e altri manufatti strani si persero nell’oceano: quanti sfiorarono la pazzia nella loro ricerca!
    Re Filippo fu informato dell’arrivo in Spagna anche del segreto dell’eterna giovinezza, e alcuni documenti attestavano tale mito.
    Ecco, tutto questo era davanti a me, miracolosamente.
    La caccia, nonostante l’età, era riaperta.
    Mi tremavano le mani per la febbrile ansia provocata dalla scoperta, e la tensione, nonché la pressione bassa, mi trasecolò.
    Rinvenni fra le braccia di Sabine intenta a sventolarmi con un foglio del diario del Conte.
    - Cosa fa? Lo rovina! – Reagii precipitoso.
    - Oramai sono fogli inutili per lei. Ciò che le interessa oggi è qui.
    Mi ritrovai fra le mani la descrizione, in bella grafia, di un oggetto con tanto di disegno: un alto cono a spirale dalle dimensioni di dodici palmi catalani e mezzo per il diametro di un palmo.
    A venticinque centimetri per palmo sommavano a circa due metri e quaranta.
    Fissai Sabine sconcertato: con tutto quel ben di Dio contenuto nel diario mi mostrava questo bizzarro oggetto; tanto più scritto in spagnolo del diciassettesimo secolo.
    - Cos’è?
    - Se promette di ascoltarmi, senza interrompermi, le racconterò una leggenda, ma leggenda non è. Se crederà potrà esaudire quel desiderio che la tormenta da anni. Altrimenti uscirà dai magazzini Lafayette col dubbio.
    Ero disposto ad accettare l’aut-aut, ma temevo conseguenze rovinose per il mio buon senso. Però la curiosità ebbe il sopravvento.
    Così appresi il segreto di Sabine Forestier.
    - Non mi chiamo Sabine Forestier. È stato nonno Jacob a cambiarlo da Briantin. Sa, ai nazisti non piacevano gli ebrei. Subodoro che ora stia collegando il cognome a qualcuno di là nel tempo; lo intuisco dal brillio negli occhi. Ha ragione: Optave Briantin era il mio avo.
    Stupefatto, quel famoso cognome di corsaro esplose dal mio passato di cercatore di tesori: nativo di Saint Malo, percorreva l’Atlantico col vascello Le coq rouge per depredare galeoni spagnoli. La patente di corsa proveniva dallo stesso Re Luigi, il quale, nel 1642, inspiegabilmente, lo promosse al grado di ammiraglio. Morì longevo nel suo letto, cosa assai rara per marinai in guerra.
    Sabine narrò che il diario di Esteban de La corte si trovava qui grazie a lui. In famiglia si tramandava l’enorme fortuna di Optave: incrociò due dei tre galeoni spagnoli della spedizione del conte Ramirez Esteban, cioè il San Juan Bautista e il San Carlos, in balia dell’oceano con vele sbrindellate, alberi trochi ed equipaggi allo stremo, e li catturò
    Un carico così congruo mai s’era visto in Francia.
    Re Luigi in persona giunse a Saint Malo sbalordito da tanta ricchezza e prontamente la requisì lasciando alla città la percentuale corsara stabilita nel contratto.
    Il tesoro venne inghiottito dal regno e contribuì in maniera decisiva alla vittoria sulla Spagna, sancita poi nel 1648 con la Pace di Vestfalia.
    E fin qui tutto bene, accondiscesi. Salvo qualche rara notizia riguardo il tesoro, ogni avvenimento era riportato sui libri di storia.
    Però mancava il tassello dell’oggetto cui Sabine teneva in particolare.
    - Ora le traduco le parti più salienti del documento: può non credere, e allora usciremo di qui immediatamente, altrimenti…

    Questo corno proviene dalla città Inca di Matalair … si trovava, unico oggetto, sulla sommità di un tempio... gli abitanti morirono in massa combattendo per impedirci di prelevarlo. Finalmente li sconfiggemmo... Lo scoprimmo sdraiato in una vasca di giada dentro una stanza altrettanto rivestita… I sacerdoti sopravvissuti, convinti a forza, rivelarono essere il corno di un ciclopico Dio alato... Serviva ai Re per ringiovanire… si immergevano e quando il sole del solstizio d’estate illuminava la terza porta anche il regno si svecchiava di due lustri… potevano farlo una sola volta nella vita… chi tentò di ripetere il cimento si confuse con l’acqua...

    Di leggende e fantasie pindariche, raccontate da marinai nei secoli, ne erano piene le stive delle navi; colme di animali mitologici e mostri che divoravano persone e bastimenti, servivano per spaventare i mozzi.
    Sogghignai.



    TRE o LA PROVA


    tre



    No. Non ero io quello che stava già pensando alla ovvia proposta di Sabine.
    - No! Non ci credo. Cos’è, siamo su candid camera? Dai, su, non mi prenda in giro.
    Ma il viso serio della donna mi smontò. Il corruccio sulla fronte e gli occhi fissi trasmisero inquietudine.
    - E poi, perché proprio io? Mi crede così disperato da prestare fede a questa fanfaluca?
    - Sì.
    - Ma insomma! Piantiamola con questo scherzo cretino! Mi accompagni fuori!
    - Quindi rinuncia a rivedere Anna? Ne è proprio sicuro? Rifletta. L’invito non è ripetibile.
    Stringevo le mani fra le mani; sbuffavo, e prendevo tempo:
    - Mi spieghi.
    - Il mio avo trattenne la vasca di giada insieme al corno magico, nonché il diario spagnolo. Io l’ho ereditato da mia madre con la raccomandazione di farne buon uso. Mio bisnonno era un socio minore di Théophile Bader e Alphonse Kahn, coi quali inaugurò il magazzino di Boulevard Haussmann nel 1912, riservandosi un sotterraneo. Venga.
    Seguendola sull’ascensore mi domandavo in quale storia assurda m’ero cacciato; dubbioso, continuavo a scrutare Sabine di sottecchi per scorgere un accenno di burla, ma lei, impettita, si limitava a guardare attraverso le mattonelle decò di vetro.
    Arrivati al piano terra scendemmo, tramite una vecchia scala, in una cantina a volta densa d’aria viziata. Schiavardò una robusta porta di ferro e tastò la parete: il buio fu sconfitto dalla luce abbacinante proveniente da ogni lato.
    Al centro dello stanzone brillò una vasca di giada.
    - Ecco. – Mostrò.
    Incredulo aggirai l’enorme blocco concavo di giada e vidi, nel fondo, in una scanalatura, il lungo corno.
    - Non si chieda perché. È da generazioni che la nostra famiglia sceglie persone alla ricerca di un passato da rivivere. Da tempo conosciamo quanto amore provava per Anna, e quale strazio l’attanaglia. Ora le diamo la possibilità di incontrarla di nuovo. La prego, non la perda.



    QUATTRO o IL PASSEPARTOUT


    quattro



    - Non trovi che gli alberi nella via abbiano bisogno di una sfoltita? Tra poco ci entreranno in casa.
    - Cosa?
    - Ho detto… sei splendida, e siamo anche in ritardo.
    - Oh, aspetteranno. Lo sanno: la puntualità non è la nostra virtù.
    - Parla per te, sono pronto da almeno mezz’ora.
    - Sì, ma tu non hai da sistemare i capelli…
    - Cos’è, prendi in giro?
    - E non devi scegliere fra il tailleur Chanel, la longuette viola a fiori di Valentino o il blazer blu balena e pantaloni écru; poi bisogna abbinare le scarpe, la borsa e anche il profumo. Ah, dimenticavo lo smalto sulle unghie.
    - Già, se lei non è perfetta… vieni qui, lasciami guardare questo incanto.
    Piroetta sui tacchi e si avvicina come una pantera nel tubino nero.
    Si addossa e il filo di perle mi preme sul petto.
    La stringo forte baciandola sul collo.
    Lei s’accoccola sulla spalla, e:
    - Caro Baptiste. Mi abbracci come se non volessi perdermi.
    Le scostai la ciocca di capelli scivolata sulla fronte e mi tuffai negli occhi color di giada:
    - Ma se stasera evitassimo quei noiosi? Incessanti, chiacchierano sempre di teatro, musica e balletti. E sparlano degli assenti. Ritardo per ritardo, prepariamo qualcosa e ceniamo sul balcone, candele comprese. Anna, ti va?

    Edited by pier luigi - 7/6/2023, 12:38
     
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    4

    Status

    La profezia dell’unicorno



    Renato si svegliò all’alba e, con l’occhio destro semiaperto, fissò la sveglia che segnava le cinque e mezza.
    Mancavano ancora oltre quattro ore prima della sua lezione di astronomia all’Università di Milano.
    Decise di alzarsi ugualmente e, mentre preparava il consueto caffè, gli venne alla mente il sogno della notte; un unicorno gli andava ripetendo: il libro, il libro.
    Controllò di avere diapositive e libri in ordine per la lezione e gli sovvenne di aver ordinato alcuni manuali illustrati sulle varie costellazioni, tra cui quella dell’Unicorno, decise così di recarsi al centro commerciale vicino a casa per constatare se erano arrivati.
    Era presto e il supermercato quasi vuoto.
    L’addetto al reparto libri lo servì subito:
    - In cosa posso esserle utile?
    - Salve, sono Renato Pastrucci, dovrebbero esserci dei libri a mio nome.
    In effetti i tomi erano arrivati, piuttosto voluminosi e ricchi d’immagini.
    Il professore ne sfogliò uno, concentrandosi sulla costellazione dell’Unicorno: da scienziato non si era mai soffermato sul significato mitologico di questa figura: l’unicorno è citato più volte nei testi biblici e in alcuni casi la sua figura simboleggia quella di Cristo e, mentre assorto si perdeva tra le trame del libro, una voce femminile da dietro lo stupì:
    - Non avrei mai detto che un uomo con quelle scarpe s’interessasse di unicorni - lo provocò lei, lunghi capelli e mani affusolate ricoperte di anelli in argento.
    - In realtà mi interesso di stelle.
    - Nemmeno astronauta avrei detto - fece maliziosa.
    - Nemmeno io avrei detto che una donna con quelle paddukas girasse per supermercati, comunque in realtà sono professore di astronomia, Renato.
    - Serena, molto lieta.
    L’uomo la fissò per un lungo attimo, incerto. C’era qualcosa di particolare nella ragazza, che gli ricordava un passato dimenticato. Erano gli occhi? No, la bocca, forse. Il sorriso. Riprese il controllo e rispose:
    - Non vorrei sembrarle sfacciato, ma ho tempo da vendere stamattina; non so lei, ma le andrebbe un caffè?
    La caffetteria del centro era ordinaria ma offriva servizio al tavolo.
    Si sedettero a un tavolino appartato, come dovessero raccontarsi dei segreti.
    Renato incalzò:
    - Dunque, Serena, che fa nella vita?
    - Ho studiato psicologia a Pavia, ma mi sono accorta che non era la mia strada.
    - Capisco, e… quale sarebbe la sua strada?
    - Sempre aiutare le persone, ma con altri… mezzi, diciamo.
    - Sono curioso.
    - Vede Renato, per lei, uomo di scienza, sarà difficile credermi, ma io conosco alcune cose che la riguardano: sono una sensitiva e so che stanotte ha fatto un sogno.
    - Che c’è di strano? Tutti sogniamo.
    - Io però il suo sogno l’ho visto e so che riguardava la nebulosa Rosetta, della costellazione dell’Unicorno.
    Renato era scettico ma la giovane donna lo affascinava e optò per lasciarla parlare.
    - Mi dica, astronomo, lei si è laureato a Bologna, giusto?
    - Questo è facile da intuire, data la mia età, all’epoca astronomia era solo a Bologna.
    - Lei però a Bologna ha conosciuto una ragazza sui vent’anni, alla quale pensa ancora oggi. – contrattaccò decisa, gli occhi lampeggianti.
    - Sì, in effetti è vero, - boccheggiò appena - ma anche questo è piuttosto comune per uno studente fuori sede.
    Quella ragazza era strana, lo metteva a disagio: stava scavando nel suo passato, tra qualcosa che aveva voluto dimenticare.
    - Lei può fidarsi di ciò che le dico o mandarmi a quel paese, ma io ho un messaggio per lei da Rosetta.
    A quel punto Renato fece per alzarsi e andarsene, lasciando Serena col suo misterioso messaggio a parlare con gli spiriti e le nebulose.
    Era spaventato: il nome della vecchia fiamma era proprio Rosetta e non si capacitava di avere di fronte una sensitiva o, più probabilmente, una truffatrice.
    - Ok, Serena, che va cercando? Soldi?
    - Le assicuro di no, glielo ripeto, può credermi o meno ma Rosetta vive a Milano ora.
    - Capisco, vi siete incontrate e avete fatto qualche bel pettegolezzo su di me.
    - Affatto. Vede, quando Rosetta si accorse di essere incinta, preferì sparire dalla sua vita per non rovinarle la carriera.
    - Che va farneticando?
    - La verità è che lei e Rosetta avete una figlia che ha ora ventidue anni.
    - Lei è pazza!
    - Forse sarò pazza, ma lei deve credermi e glielo dimostrerò.
    Mentre parlava, con mano tremante Serena lasciò scivolare un medaglione nella sacca dei libri di Renato, accompagnato da una lettera. Lo salutò cortesemente e se ne andò.
    Quella sera il professore era ancora turbato dall’incontro con Serena e per distrarsi decise di ammirare le belle fotografie di astronomia.
    Aprendo l’involucro si accorse del medaglione dorato e della lettera. Capì al volo che era opera di Serena e temporeggiò prima di prenderli in mano. La ragazza aveva parlato di Rosetta, di una figlia. Di una famiglia mai avuta. Deglutì a fatica e socchiuse gli occhi sospirando. Era giovane, voleva far carriera, ma…
    Quando infine si decise, la sorpresa fu grande: il medaglione conteneva una fotografia di Rosetta ai tempi del loro amore: portava in grembo un nascituro.
    Frenetico lesse la lettera.
    Caro Renato, se tu vuoi ci rivedremo quando sarà il tempo, alla terza luna di maggio vicino al nocciolo del grande vecchio.
    Credi alle parole di Serena, lei sa bene di cosa parla.

    Il professore rimase folgorato. Una figlia. Ventidue anni, una vita fa. Ricordò il fuoco dei suoi occhi. E il dolce sorriso di Rosetta si sovrappose a quello di Serena. Era mai possibile che…
    Passarono ben tre mesi senza che il professore ricevesse alcuna novità: la sua vita trascorreva regolare e malinconica, colma dei rimpianti di gioventù: cosa sarebbe stato se non avesse seguito la carriera? Cosa sarebbe accaduto ora? Avrebbero potuto essere una bella famiglia felice? Si sarebbe sentito meno solo?
    Quella sera passeggiava per parco Sempione quando notò un albero di nocciolo, si sentì chiamare e senza nemmeno chiedersi a chi appartenesse la voce femminile gridò:
    - Serena! Serena!
    - Sì, sono io, e mamma è a casa, la tua Rosetta, vieni!
    Per un istante si fissarono negli occhi umidi, quindi la ragazza si buttò tra le sue braccia.

    Edited by Ida59 - 1/6/2023, 12:46
     
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    5

    Status
    Racconto dalla trama 2 di Daniela

    Il lato oscuro




    Al liceo Pascoli di Torino regnava un’atmosfera di rivoluzione permanente. I docenti erano spesso incorporei, mal preparati, poco attivi. I ragazzi frequentavano a malavoglia le aule dove regnava ignoranza e lassismo, erano demotivati, disattenti.
    Il vero demone del gruppo docenti era Cunegonda Mastini, un’insegnante di lettere, il cui unico scopo era esercitare il potere su docenti e alunni, trattandoli come oggetti, predisponendo le loro azioni a proprio beneficio.
    In realtà non era quasi mai in aula, ordinava ad altri di sostituirla, se era presente preferiva farsi la manicure o leggere libri su misteri e tarocchi: la sua unica e grande passione.
    Amanda un’alunna dell’ultimo anno, intelligente e studiosa, per aiutare la famiglia lavorava in modo saltuario in un centro commerciale, reparto rettili vivi.
    Era l’unica a cercare in qualche modo di contrastare l’egemonia di Cunegonda, ma con scarsi risultati.
    Un giorno, la sua pazienza con la terribile professoressa raggiunse il limite.
    Aveva scritto un tema di verifica molto complesso e introspettivo, riuscendo ad aprire il cuore: descriveva il bellissimo rapporto con la nonna, pensando, in questo modo, di toccare il malefico intimo della Mastini. Sperava di dare un po’ di luce alla sua anima nera, raccontando di quanto la nonna le aveva trasmesso con i suoi racconti e del caro regalo lasciatole prima di morire.
    Risultato della prova scritta: scrittura fanciullesca, testo privo di maturità, uso di termini sempliciotti, voto 2.
    Amanda alla costatazione del risultato si sentì, prima, svenire, poi la rabbia sorda la pervase.
    Doveva fargliela pagare, distruggere l’animo tetro dentro il corpo flaccido e peloso di quell’essere inutile.
    Passò ore alla ricerca di un modo per annientare la “succhia energia”. Era al corrente della sua debolezza: la passione per l'esoterismo, la lettura delle carte e il soprannaturale. Pensò così di colpirla sui temi che più la intrigavano.
    Al centro commerciale avrebbe trovato tutto il necessario: un mazzo di tarocchi, un libro finto antico che avrebbe modificato aggiungendo ai margini delle pagine formule chimiche inventate.
    Congegnò un piano complesso; la sua mente geniale lavorava a mille e con un po’ di fortuna sarebbe riuscita a stendere la belva.
    Escogitò un modo casuale di mostrare a Cunegonda il libro manipolato.
    In classe fece cadere il libro, falsificato, ai piedi della professoressa, che non mancò, curiosa com’era, di leggere il titolo e notare quanto era antico e consunto dall’uso.
    La professoressa si stupì: com’è possibile che una ragazzina così sciocca possedesse un tale libro? Doveva impossessarsene!
    Durante l’intervallo Amanda attuò il piano chiamando a raccolta le complici: alcune compagne di classe che avevano subito spesso le angherie dell’orrida prof.
    Stese sul tavolo i tarocchi e lesse a ognuno il destino.
    Alle spalle, silenziosa, si avvicinò Cunegonda che, osservando con quanta abilità la ragazza interpretava gli Arcani Maggiori e quale soddisfazione dimostrava chi le era attorno, annuendo alle profezie, arrossì imbarazzata: la ragazza sapeva il fatto suo, valutò furibonda
    Amanda, sapendo di essere osservata, declamò a occhi chiusi e con voce gutturale:
    - Io molto so, ma solo chi possiede il libro magico della verità potrà acquisire il potere della giovinezza e del sapere. - Prosegui alzando il tono della voce. - I rettili custodiscono il segreto: solo chi, armato di coraggio, li sfiderà, otterrà il potere assoluto delle anime.
    L'uditorio fu sconvolto dalla rivelazione, ma Cunegonda trovò in quelle parole la svolta al suo destino. Sapeva che la ragazza lavorava presso il rettilario del centro commerciale e progettò di recarvisi il giorno stesso: dopo la chiusura si sarebbe nascosta, avrebbe trovato il libro ottenendo il POTERE.
    Amanda tornando a casa è sicura che la prof abbia abboccato all’amo.
    Aveva nascosto il libro sotto la teca di innocui serpentelli d’acqua, dall’aspetto repellente, che si sarebbe aperta al primo tocco rovesciando il viscido contenuto addosso all’insegnante.
    Pregustando la vendetta, Amanda accarezzava soprappensiero il piccolo unicorno in onice che l’adorata nonna le aveva regalato. Strana sensazione accarezzare il talismano: di solito la calmava, ma oggi qualcosa di strano stava succedendo.
    Il piccolo unicorno dondolava e sobbalzava in modo innaturale.
    Che succedeva? Amanda si alzò di scatto, appena in tempo: il piccolo unicorno iniziò a brillare come diamante riflettendo mille spicchi di luce nella stanza.
    Ora pareva muovere le zampe e, in una fantasmagorica esplosione di colori, si trasformò in un enorme unicorno alato, scalpitante, sbuffando vapore dalle nari mentre guardava con intensità Amanda.
    - Piccolo cuore. - Disse l’unicorno.
    Proprio come la chiamava la nonna.
    - Ti pare di avere agito bene? Tua nonna avrebbe approvato? Questo ti ha insegnato? - E rimarcò.
    - Quella donna ha già la sua punizione per tutta la vita: ha l’anima nera e corrotta. Non gusterà le gioie dell’amicizia, della complicità, dell’affetto e dell’amore. Per la sua ingordigia di potere morirà tra spasmi di dolore, finendo così la sua sofferenza, il suo cammino nell’oscurità.
    Amanda dopo la prima sorpresa si sentì stringere il cuore e gridò: no, non morirà, sono serpenti innocui.
    Dopo aver emesso alcuni sbuffi di vapore l’unicorno avvisò:
    - Il proprietario ha sostituito le teche; presto Cunegonda porrà fine alla sua vita stritolata da un boa, e tu, soltanto tu, sarai responsabile.
    La ragazza piangendo disperata uscì di casa.
    Correndo a perdifiato arrivò al centro commerciale e con la chiave di emergenza aprì la porta del negozio.
    Raggiunse trafelata il reparto dei rettili pochi secondi prima che la Mastini allungasse la mano verso il libro posato sotto la teca del boa costrittore.
    - No! Ferma! non vale la pena perdere la vita per un inutile magia. Ferma!
    Cunegonda girandosi di scatto smosse la teca che, rovesciandosi, fece scivolare l’enorme boa sul pavimento ai loro piedi.
    Forse questa sarà la giusta punizione: morire entrambe stritolate?
    Scaturita dal nulla un'improvvisa luce vaporosa si diffuse nella stanza. Avvolto nell’arcobaleno si manifestò nella sua magnificenza l’unicorno alato: con lo zoccolo schiaccio il boa, liberando le due da morte certa.
    Le sirene dell’allarme suonarono ossessive.
    Guardiani e vigilanti accorsero: a bocca aperta videro il prodigioso unicorno che con un’impennata nitrì e scomparve tra sbuffi di vapore rosa e celesti.

    Un’esperienza sconvolgente: quando il bene e il male si scontrano, la vittoria non è mai scontata.

    La nonna di Amanda è riuscita ad attivare un bene così grande, che il male, dinanzi a tanto amore, è capitolato.

    Edited by Ida59 - 27/10/2023, 10:14
     
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    142

    Status
    Racconto dalla trama 3 di MG51

    GRAMEZZA



    Mi accorgo una volta in più.



    Mi accorgo una volta in più che tutta la mia vita l’ho trascorsa qui: non mi sono mai mossa dal quartiere Lingotto.
    Abito a Torino in via Ventimiglia, al numero trentaquattro, un isolato dall’ospedale in cui sono nata sessantacinque anni fa, il Regina Margherita; il compleanno scocca tra due giorni, e nessuno lo sa.
    Fino all’anno scorso insegnavo alle scuole medie dell’istituto di via Montevideo, il Giambattista Vico: nella camminata di mezz’ora abbondante, transitavo anche sulla passerella olimpica sostenuta dai tiranti di una mezza ruota; pare di bicicletta, però gigantesca.
    Ora non più.
    Dopo il fatto increscioso, in attesa della pensione, sono alla cassa del Coincasa, nel centro commerciale del Lingotto: dieci minuti scarsi a piedi.
    E per pietà mi hanno assunta, altrimenti…
    Ieri sera, scartabellando fra le scartoffie accumulate dall’infanzia, è saltato fuori il biglietto della monorotaia sospesa, inaugurata per l’esposizione Italia 61.

    ccc


    Ricordo, come fosse ora, il tremito nel salire i gradini della stazione di partenza, allacciata alla mano di mio padre, custode al Museo nazionale dell’Automobile.
    Nel breve tragitto, al massimo cinque minuti da casa, mi spiegò che quel giorno avremmo viaggiato in alto, a oltre sei metri d’altezza.
    Adesso ne esiste ancora un rimasuglio: penoso, scavalca un laghetto, come questi ultimi mesi trascorsi in afflizione.

    Pensando a Vadoma.


    vvv


    Pensando a Vadoma, la bambina sinti dall’età indefinibile, mi ribolle ancora il sangue tanto sconcerto mi attanaglia.
    Spesso non veniva a scuola e raramente svolgeva i compiti a casa; si presentava con vestiti trascurati, un po’ sporchi.
    Proveniva dalle elementari di una città della Lomellina: nella relazione di accompagnamento i maestri la descrivevano come una bambina alla quale piaceva giocare, molto attenta in classe nonché dotata di fervida fantasia.
    Ma i suoi compagni, incoraggiati dai genitori, la isolavano, costringendo il direttore didattico a trasferirla più volte di classe.
    La famiglia, in pratica il padre Umut e la nonna, dalla fama di fattucchiera, viveva in una casotta abbandonata lungo il Ticino.
    Tutte informazioni di poco conto, scontate, vista la provenienza.
    Si sa: agli zingari tocca la sorte di vivere ai margini; è il popolo più libero sulla terra, ma proprio per questo sacrificabile, come gli ebrei, peggio degli ebrei.
    Campavano di poco: Vadoma con la nonna vagabondava nei paesi chiedendo l’elemosina oppure proponendosi come chiromanti; Umut girovagava di fiera in fiera, racimolando qualche soldo facendo cavalcare ai bambini alcuni pony travestiti da unicorni.
    Nella relazione avevo letto che in diverse occasioni erano state acciuffate per piccoli furtarelli nei supermercati locali, finché non si erano trasferiti a Torino.
    Ed era capitata nell’aula della prima E.
    La sgradita novità colse i genitori degli alunni inaspettata: protestarono, minacciando di ritirare i figli, ma poi furono convinti a tentare.
    Raccogliemmo dei vestiti accettabili e tutto pareva filasse liscio; l’unico grattacapo accadeva quando Vadoma insisteva per guardare il palmo delle mani: alle compagne, dopo averle strofinate col pugno, prediceva futuri di norma eccellenti con famiglie perfette impreziosite da figli amorevoli.
    Ai maschi favoleggiava storie di unicorni, guerrieri e lotte antiche, mitici animali crudeli ai quali toccava la morte cruenta tramite spade invincibili.
    Le profezie negative erano perlopiù indirizzate alle smorfiose, quelle dalla cosiddetta puzzetta sotto il naso.
    Anche a me volle leggere la mano, e, seppur criptica, mi garantì la risoluzione positiva per una grande mancanza; mi fissò coi suoi grandi occhi e notai della commozione, come volesse accarezzarmi per consolarmi; ma la predizione era così generica, sebbene inquietante, da non prenderla neanche in considerazione.
    Del resto lo zingaro è un trucco, come cantava De Gregori.
    Per i bimbi erano giochi divertenti, nulla più, finché non capitò il dramma.

    Tener testa a ventisei ragazzini.


    bbb


    Tener testa a ventisei ragazzini, di prima media, in gita, dai nomi più disparati, è un’impresa pressoché impossibile.
    Ludovica, Candice, Sofia, Nour, Vadoma, Naomie, Katrine, Ginevra, Kezia, Bryanna, Matilde, Malak, Elettra, Chiara, Aurora, Kobena, Fayola, le femminucce frammiste ai maschietti Kamil, Lorenzo, Francesco, Rayan, Adam, Tommaso, Leonardo, Roman e Mattia furono scelti per visitare la fiera internazionale del libro al Lingotto.
    Per non pagare costosi biglietti di entrata, avevamo dirottato l’escursione al centro commerciale adiacente all’esposizione, dove alcune case editrici distribuivano gratuitamente un libro a ogni bambino:
    - “La terra è nostra madre”. Bella intitolazione. Perché non approfittarne? - Decisero in presidenza.
    Aiutata dalle giovani colleghe Vittoria ed Emma, fummo accolti, nell’ampio spazio tra i negozi, da una specie di albero di natale costituito da volumi impilati, a lato del quale erano sistemati diversi banchi colmi di libri.
    Certo, stampati l’anno prima, ma ancora attuali: i titoli trattavano, in modo semplice, adatto alla comprensione dei bambini, di ecologia, di avventure oltre alle favole. Mancavano, per scelta oculata, i supereroi, a mio parere altamente diseducativi, essendo in grado di risolvere ogni problema con la sola forza dei loro poteri.
    Per fortuna veniva ammessa una sola scolaresca alla volta, altrimenti chissà quanta confusione.
    Nonostante ciò, li tenevamo sotto controllo a malapena, ma, è noto: appena fuori dalle aule diventano diavoli; perderli di vista bastava un attimo.
    Formavano gruppetti confabulanti, ben separati, di maschietti e femminucce.
    Tranne uno.
    Sofia, Fayola, Adam e Lorenzo seguivano docilmente Vadoma; lei prelevava e distribuiva loro alcuni volumetti; da lontano non percepii pericoli, però il fatto risultava strano.
    Mi avvicinai. I cinque mi guardarono, come dire, inebetiti; ognuno ghermiva un libricino dalla copertina simile, ma dal titolo diverso: le figure erano immagini lenticolari a doppio riflesso, generando così l’effetto del movimento; ciascuno rappresentava un unicorno diverso. A rendere più bizzarra la situazione era un alone di vapore avvolgente dall’assurdo sapore di spezie.
    Malauguratamente fui distratta da un bisticcio tra Ginevra, Matilde ed Elettra: si contendevano le attenzioni di Mattia, un biondino boccoloso, sempre intento a scuotere i capelli come se pubblicizzasse uno shampoo televisivo, incoraggiato da una madre tutta svolazzi e Range Rover nuovissima.
    Cinque passi per separarle e sgridarle, promettendo un brutto voto, mi volgo, e il gruppetto con Vadoma era sparito.

    Quattro zainetti abbandonati.


    nnn


    Quattro zainetti abbandonati a terra fecero scattare i campanelli d’allarme; reagii chiamandoli per nome con un tono di voce altissimo, spaventando i clienti del centro commerciale.
    Subito la ressa si trasformò in panico: con ciò che succedeva nel mondo, enfatizzato dai telegiornali, la paura divenne contagiosa, e suscitai l’accalcamento verso le uscite.
    Ma dello scompiglio causato me ne resi conto ben più tardi.
    In quel momento l’unica priorità erano i bambini scomparsi.
    Giunse una guardia giurata intenzionata a calmare le persone, ma ottenne poco successo: chiunque correva in ogni direzione; chini, apparivano angosciati dal dubbio di un criminoso attentato terroristico o da qualche maniaco armato in preda a un raptus omicida.
    Il caos era generale.
    I miei scolari erano sdraiati sul pavimento, nascosti dietro le bancarelle dei libri crollati a terra dagli urti dei fuggitivi.
    Sulle scale mobili le persone si pigiavano abbandonando le borse.
    Il cibo, schiacciato, si alterava in chiazze cremisi simili a sangue.
    Alte grida d’aiuto sovrastavano le mie; continuavo a chiamare i bimbi mancanti, ma nessuno mi prestava attenzione.
    Allora mi rivolsi alle colleghe e, appena le scale si liberarono, dopo un tempo smisurato, salimmo intruppati al piano dell’uscita.
    Finalmente l’aria divenne respirabile.
    Lì, purtroppo, constatai il risultato del terrore: sul piazzale si erano radunati i reduci del fuggi fuggi.
    Donne, ragazzi e ragazze, uomini, ancora in fibrillazione, si chiedevano il perché di tanto trambusto; seduti o in piedi, scrollavano il capo, si parlavano indicando ora il petto, ora lo sfacelo dei vestiti, in una confusione generale da dopo terremoto.
    Oppressa dalla vergogna, piansi disperata; per sicurezza chiamai ancora, avvilita, i presenti:
    - Aurora, Bryanna, Candice, Chiara, Elettra, Francesco, Ginevra, Kamil, Katrine, Kezia, Kobena, Leonardo, Ludovica, Mattia, Naomie, Malak, Matilde, Nour, Rayan, Tommaso, Youssef. Bravi ragazzi, statemi vicino.
    Di Vadoma, Sofia, Fayola, Adam e Lorenzo non riuscivo a pronunciare i nomi tanto tormento mi assillava.
    Quando…

    Signora professoressa, guardi!



    - Signora professoressa, guardi! - Un ditino puntò a destra e misi a fuoco la vista tra le lacrime.
    Nel tremolio della commozione intravvidi alcune sagome in avanzamento.
    Un uomo scuro, col cappellaccio calato, impugnava nella mano destra una briglia attaccata alla cavezza di un pony.
    Sulla sella un bambino: Lorenzo.
    Dietro, in fila indiana, altri quattro cavallini sui quali spuntavano le braccia di Sofia, Adam, Fayola e Vadoma.
    Incredula, corsi incontro al codazzo scorgendo, stupita, sulla fronte del primo pony un corno, posticcio all’apparenza, ma ben camuffato nella criniera.
    Smontarono, radunandosi attorno a me; a quel punto detti in escandescenze.
    Adirata, li sgridavo, compreso l’uomo, abbracciando i bimbi, uno a uno, inveendo contro la loro indisciplina.
    Incominciarono a piagnucolare, intimiditi e mortificati, accampando scuse:
    - È stata Vadoma a convincerci. - Esordì Fayola, dal volto africano rigato da lacrime trasparenti. – Se sborsate venti euro vi farò cavalcare gli unicorni…
    - Io, il corno l’ho toccato; è vero! - Affermò Adam trionfante.
    - Parla lui. Non ci credeva. - Cantilenò Sofia.
    - Signora, - si frappose l’uomo scuro – sono il papà di Vadoma. Ho organizzato io tutto questo, la colpa è mia. – Gli uscì schietto. – Volevo guadagnare qualche soldo, ma le posso garantire che non hanno corso nessun pericolo.
    L’inaspettata tigre in me azzannò: gli rinfacciai il tafferuglio nel centro commerciale e i risultati erano ben evidenti sul piazzale, lo rimproverai di aver messo a rischio gli scolari nonché la responsabile.
    Io. Civilmente e penalmente.
    Scosse la testa abbassandola:
    - Non le darò più fastidi. Mi perdoni.
    Si fa presto a chiedere perdono; intanto dovevo vedermela con la polizia, il direttore, i genitori, con le conseguenze del caso.
    - Maledizione! – Sbottai.
    - No, la prego! Ora risolvo. – Assicurò il sinti.
    Raggruppò i cavallini e sembrò parlagli; essi ciondolarono la testa cornuta e parve si schiarisse il cielo.
    Un riflesso abbacinante diffuse nell’aria un calore vaporoso.
    Un ronzio ripetitivo fiaccava i sensi.
    Un lampo squarciò l’aria.
    Quando riaprii gli occhi ero stordita.
    Fissai un libro a terra: sulla copertina un’immagine lenticolare, a doppio riflesso, con l’effetto del movimento, rappresentava unicorni, mentre una nebbia dall’assurdo aroma speziato si diradava.
    Mi chinai, lo raccolsi.
    Il titolo?
    Il mondo di Vadoma.

    libro


    Attorno a me si assieparono gli alunni e le colleghe, preoccupati:
    - Sta bene signora?
    - È così pallida.
    - Le manca l’aria?
    - Torniamo a scuola? Perché?
    - Ahia, Mattia mi ha fatto un pizzicotto.
    - Non è vero.
    - Ho fame.
    - Cos’ha in mano?
    - Allora entriamo o no?
    - Non vedi che la professoressa non sta bene…
    - Ci siamo tutti e venticinque? – L’impeto trasmesso sorprese anche me. – Dai, andiamo a visitare il salone dei libri, e fate i bravi.

    *
    * *



    In seguito, finito l’anno scolastico, mi dimisi, fra lo stupore dei colleghi insegnanti.
    Ero caduta in una specie di abulia.
    Le immagini di quella giornata rimbalzavano nella mente e non riuscivo a liberarmene.
    Anche il medico mi suggerì di allontanarmi da quella condizione incresciosa; l’ansia mi coglieva impreparata e, nonostante la buona volontà, ricadevo nell’incubo di perdere i bambini.
    Era impossibile ritornare alla serenità.

    *
    * *



    Ora apro il negozio, sistemo la contabilità, il magazzino virtuale, e attenderò i clienti.
    Intanto il tempo passa; forse, un giorno si affievolirà lo spavento e anche gli unicorni di Vadoma non mi tormenteranno più.

    Edited by pier luigi - 25/10/2023, 03:11
     
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    5

    Status
    Sviluppo trama di Raffi “maestro di surf”

    Onde



    Calma piatta, il sole rinfrange i raggi sullo specchio d’acqua, neanche un’onda, neanche un refolo di vento.
    Sulla spiaggia, sconsolato, Jerry scruta l'orizzonte in attesa di un po’ di movimento. Per lui quella calma piatta è tutto guadagno perso.
    Un maestro di surf senza onde è come un uomo nudo nel deserto. Il meteo non prevede vento per almeno tre giorni.
    I suoi allievi figli di papà, che pagano a suon di real le brevi lezioni, devono accontentarsi di un po’ di teoria all’ombra, sulla spiaggia.
    Un buon maestro comunque non trascura l’attrezzatura, e con questo spirito comincia a lucidare le tavole. Il lavoro manuale gli permette di non pensare ai suoi guai.
    La scuola di surf all’inizio aveva dato ottimi guadagni, ora a malapena riesce a coprire le spese; forse aveva ragione suo padre: un bel lavoro a tempo indeterminato in un comodo ufficio del centro lo avrebbe reso, se non ricco, almeno sereno. Meglio d’inseguire un sogno, una passione: un tranquillo lavoro, una casa, una macchina, cibo tutti i giorni, una famigliola felice come nelle pubblicità.
    Invece dorme in un gazebo sulla spiaggia che funge da casa e da scuola: i soldi guadagnati con le lezioni volano via.
    Sullo sdraio gli occhiali da sole rotti, dopo una carambola tra le onde. Pochi real in tasca.
    Magari al centro commerciale c’è qualche offerta per acquistarne di nuovi.
    Mancano un paio d’ore prima della lezione. Jerry chiude tutto, si allontana dalla spiaggia e si dirige verso la città.
    Al centro commerciale, nel negozio di ottica locandine colorate annunciano sconti su occhiali da sole. Un colpo di fortuna, entra nel negozio sorridendo.
    Alla cassa un uomo anziano e malvestito sta confabulando con il commesso. Da alcune frasi Jerry capisce il problema: l’anziano non ha soldi per ritirare gli occhiali da vista, è sull’orlo del pianto, gli occhiali gli servono e la pensione arriverà fra qualche giorno.
    Si inginocchia davanti all’addetto, ma quello, granitico, non intende cedere. Insiste chiedendo di poter pagare fra qualche giorno: il commesso, da prima solo indolente, poi alza il tono della voce caricandosi della sua rabbia repressa e scaricandola contro il malcapitato:
    - No, o tiri fuori i soldi o te ne vai, puzzolente di un vecchio. - grida senza mezzi termini.
    Jerry avrebbe dato volentieri un pugno sulla faccia di quel cretino, ma prende dal portafoglio i pochi real e si offre di pagare il conto. Il commesso accetta di buon grado e consegna i preziosi occhiali all’uomo che quasi non crede alla propria fortuna.
    Il maestro ha esaurito i suoi soldi e si incammina all’uscita; il vecchio sdentato lo rincorre per ringraziarlo, lo ferma, gli sorride e chiede in quale modo può sdebitarsi.
    Con un inchino si presenta: sbarca il lunario con quel poco che racimola leggendo la vita sulle mani delle persone.
    Il ragazzo per accontentarlo gli porge il palmo. L’uomo vede le linee che la solcano e si scansa con un balzo.
    Non è bello ciò che ha visto, ma non dice nulla, porge al giovane un libro di fiabe sdrucito che estrae dal suo tascapane. Gli suggerisce di tenerlo con sé, gli sarà d’aiuto.
    Il maestro ringrazia, saluta e ritorna al suo mare, dimenticando il bizzarro signore.

    Arrivato in spiaggia si accorge perplesso che si è alzato un delizioso vento: increspa il mare creando piccole onde, pare perfino voglia aumentare d’intensità.
    Jerry prova una grande voglia di solcare la spuma azzurra. Non si fa domande sul repentino cambiamento del tempo; prende la tavola migliore e corre verso quelle meravigliose onde. Andare a briglia sciolta con la tavola, lo riempie di gioia fanciullesca.
    Riempirsi i polmoni di goccioline salmastre lo rinvigorisce, il suono sordo delle onde attorno lo inebria.
    Nella fretta di tuffarsi ha lasciato scivolare tutto ciò che aveva sulla spiaggia tiepida. Il libro antico maldestramente caduto tra i sottili granelli di quarzite viene sfogliato dal vento, che da dolce refolo, si sta alimentando diventando tempesta.
    Come in trance, Jerry scorrazza tra le onde nella tempesta perfetta.
    Mai poteva immaginarsi che in poco tempo si sarebbe trasformata in uragano.
    Sulla riva tra le dune qualcuno lo osserva; il vecchio vorrebbe gridargli di mettersi al riparo: il cielo pieno di elettricità sta caricando un uragano forza tre.
    Smarrito, il vecchio recita ad alta voce la formula che spera possa funzionare, è arrugginito dai secoli passati fra gli umani.
    Usando tutta la sua voce pronuncia il mantra dell’incantesimo:

    - CINSENA RAVINA DOS DOS YUPY.

    Una folgore scaturita dal nulla si abbatte sul vecchio libro scosso dal vento: in un balenio di colori iridescenti si manifesta un poderoso unicorno bianco, che spiega le sue magnifiche ali argentee.
    Si volge prima verso il vecchio che saluta con un cenno del capo e poi si precipita, usando le potenti ali, verso il giovane che ha perso il controllo della tavola e cerca disperatamente di stare a galla.
    Vede passare davanti agli occhi tutta la sua vita.
    Sa che non potrà resistere a una forza così immane.
    L’unicorno ha raggiunto il naufrago, tra spuma e flutti lotta per spingerlo sulla groppa, dove Jerry si issa afferrando la folta criniera.
    L’animale fatato con il suo carico umano raggiunge le dune sulla spiaggia, dove il vecchio aspetta.
    Deposita con dolcezza il giovane svenuto, saluta scrollando la folta criniera e scompare.
    L’uomo si china davanti al giovane e controlla il palmo della mano; ciò che vede lo fa sorridere: le linee ora segnano una lunga vita.
    Alzandosi spinge lo sguardo verso il cielo, le vesti immobili malgrado il forte vento.
    Un’altra anima salvata, un altro anno ancora sulla Terra.
    Jerry apre gli occhi adagio. Davanti l'orizzonte libero, il mare calmo, forse ha sognato di vedere realizzato il suo sogno: cavalcare la tempesta perfetta.

    laraffi

    Edited by Ida59 - 4/7/2023, 19:28
     
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    22

    Status
    Di Anna Rita Borgonovi - Sviluppo della trama 1 di Gigi

    L’ultima escursione


    Il professore Camillo, docente universitario di storia antica, era giunto a fine carriera.
    Aveva ottenuto la specializzazione in egittologia e, nonostante le tante ricerche effettuate sul campo, non aveva ottenuto nessuna scoperta degna di essere ricordata.
    Durante il periodo estivo, libero dagli impegni scolastici trascorreva lunghe settimane alla ricerca di nuovi siti da esplorare e studiare senza trovare reperti importanti cui legare il proprio nome e degno di essere ricordato.
    Quell’anno avrebbe effettuato la sua ultima escursione: troppo in là negli anni per riuscire a sopportarne i disagi.
    Passeggiando per le vie della città, immerso nei suoi pensieri, si era ritrovato in una parte mai raggiunta prima: gli ricordava la casbah del Cairo dove aveva trascorso molte ore in cerca di nuovi indizi utili ai suoi studi.
    Entrò inun fabbricato che più di un centro commerciale aveva l’aspetto di uno dei tanti bazar visitati nel suo peregrinare nelle città del nord Africa; non godeva di una buona clientela.
    Alla sua destra una vecchia e polverosa libreria aveva attirato la sua curiosità. Fermandosi a osservare la vetrina ingombra di vecchi libri avvolti da una sottile rete di ragnatele, il suo sguardo fu catturato da un plico di strani fogli: non si capiva se fossero papiri sparsi o un libro la cui rilegatura si stava distruggendo.
    Spalancando la porta, lo aveva ricevuto una donna che chiamarla libraia sarebbe stato un eufemismo; non aveva intenzione di soddisfare le sue richieste: sopratutto prendere quel plico di carta inaccessibile, polveroso e malridotto.
    Discussero un po’ e la donna pose fine al diverbio dicendo: ”Non sono in vendita, ma se proprio ci tiene la cifra è questa” sicura di averlo scoraggiato.
    Camillo ci pensò un po’ su: effettivamente la richiesta era esagerata, ma decise che alla sua età si poteva permettere una follia ed uscì con il plico sotto il braccio.
    Giunto a casa, dopo aver controllato il suo acquisto capì di aver davanti agli occhi qualcosa di importante che lo avrebbe condotto finalmente alla scoperta anelata da tutta la vita.
    Tra fitti geroglifici era celata una mappa difficile da decifrare.
    Impiegò tempo e ricerche negli archivi dell’università e alla fine riuscì a stimare il luogo dove si trovava una vecchia tomba o, meglio ancora, una piramide.
    Con la pazienza di un certosino predispose il necessario per compiere la sua ultima escursione e finalmente giunse il giorno della partenza.
    Atterrato all’aeroporto del Cairo, attese due ore per recuperare l’ingombrante bagaglio, poi altro tempo per noleggiare una capiente jeep e a metà pomeriggio lasciò l’aeroporto.
    Dopo aver guidato per diversi chilometri, stanco e affamato, decise di fermarsi al primo centro abitato per rifocillarsi, pernottare e cercare i portatori disposti ad accompagnarlo nel deserto.
    Dovette percorrere altra strada prima di scorgere in lontananza un’oasi con le luci e le ombre di un centro abitato.
    Trovata una buona pensione al limitare del paese, scese dalla jeep ed entrò nel locale. La vista dell’albergatore, una donna con un viso che non ispirava fiducia, gli suggeriva di uscire, ma era tardi per cercare un altro alloggio e quindi si fermò.
    Gli fu servito un succulento pasto a base di cuscus, con verdura e carne cucinate e amalgamate in modo eccellente, il tutto annaffiato da un buon carcadè.
    Dopo cena, dispiegò la mappa sul tavolo per un ultimo controllo; la donna si era avvicinata in silenzio e in mano aveva un pendolino che oscillando sulla mappa si fermò sul punto esatto in cui il professore intendeva recarsi. Lo sguardo della donna si fece triste: non presagiva nulla di buono e con un flebile sussurro lo invitò a rinunciare all’impresa profetizzando: “Lascia che i morti riposino in pace”.
    Camillo richiuse con uno scatto fulmineo la mappa provando disagio e un senso di nausea gli salì in gola. Fuori stava scendendo la notte, ma decise di uscire a prendere una boccata d’aria: “Che avrà voluto dire con quelle parole e che ne sa lei di cosa sto cercando?” borbottò tra sé sempre più irritato
    Le strade brulicavano di gente e dopo il caldo della giornata il fresco della notte invogliava ad uscire.
    Assorto nei suoi pensieri, non si accorse che un gruppetto di uomini gli si erano affiancato. Il loro aspetto era poco raccomandabile ma non se ne avvide.
    Il più giovane lo salutò e iniziò a discorrere; venuto a conoscenza del suo progetto si propose con gli amici di fargli da guida: conoscevano il territorio da perlustrare come le loro tasche, poteva fidarsi di loro.
    Rimase titubante: le parole della donna lo avevano messo in allarme, ma il desiderio della ricerca e l’insistenza del giovane lo indussero ad accettare l’offerta.
    Si diedero appuntamento per l’indomani davanti all’albergo.
    Partirono all’alba, accompagnati dallo sguardo malinconico della veggente.
    Il luogo da raggiungere era lontano, si prevedevano giorni interi di cammino.
    Sembrava di ritrovarsi sempre nello stesso punto tra le dune di sabbia, quando infine al calar del sole del quinto giorno ecco profilarsi il punto di intersezione tra longitudine e latitudine descritto nella mappa.
    Con entusiasmo cercarono un luogo sicuro per accamparsi escaricarono solo le tende e il necessario per trascorrere la notte; il mattino seguente, mentre il professore iniziava gli scavi, avrebbero montato il campo.
    Dopo aver cenato si ritirarono per riposare, ma furono svegliati dall’ululato del vento che faceva sbattere le tende paurosamente: una tempesta si stava avvicinando rapida.
    Uscirono all’aperto per osservare: cumuli di sabbia volteggiavano nel cielo disegnando immagini di orrende creature che emettevano suoni orribili.
    Le guide, impaurite, abbandonarono il campo e l’idea iniziale di arricchirsi rubando i reperti che avrebbero trovato.
    Correndo all’impazzata e gridando di paura, saltarono sui mezzi abbandonando il professore al suo destino.
    Nell’attimo in cui Camillo si ritrovò solo, il vento cessòdi colpo lasciando intravvedere sotto ai suoi piedi una piramide sulla cui sommità era posata una cupola di vetro: all’interno giaceva un unicorno.
    Ammaliato, appoggiò il viso contro il vetro e si accorse che sul corpo erano incisi geroglifici simili a quelli della mappa.
    Col fiato corto e un attacco di tachicardia, corse alla tenda, prese il plico di papiri e ritornò veloce come un lampo alla cupola.
    Spostò la sabbia che la ricopriva per avere una visuale migliore: quando avvicinò il manoscritto al vetro fu preso da un vortice, un fascio di luce lo abbagliò e quando tutto cessò, si ritrovò catapultato indietro nel tempo, prima del diluvio universale.
    Osservò il paesaggio e si accorse che il fiume Nilo era il confine tra due civiltà.
    Nel lato ovest il territorio era rigoglioso e viveva una popolazione evoluta con il giusto equilibrio tra bene e il male: le persone erano belle e sorridenti e si capiva che erano felici.
    Volgendo lo sguardo di centottanta gradi ammirò le città con grandi palazzi, giardini, viali alberati e poi distese di pascoli con mandrie e greggi, campi coltivati e ancora boschetti e laghetti; nell’aria si udivail cinguettio di uccellini e si respirava il buon profumo di fiori e erba appena tagliata .Uno spettacolo che inebriava la mente e il cuore.
    Sul lato est, la terra era arida, sterile, nessun albero o giardino, non c’erano città ma solo ruderi, tra i sassi pascolavano alcune mucche e pecore scheletrite. Girando lo sguardo a centottanta gradi scorse una popolazione di reietti, brutti, ingobbiti e violenti.
    Il professore osservava inorridito, quando un unicorno si fermò al suo fianco e gli narrò una storia molto diversa rispetto a quella tramandata dai nostri padri.
    Secoli prima una parte della popolazione si era ribellata all’autorità dell’unicorno incaricato di far rispettare le leggi dettate dall’Entità Suprema che aveva creato quella terra.
    Esiliati dall’altro lato del fiume e senza una guida nessuno era disposto ad accettare consigli o a lavorare. L’ambiente si inaridì, iniziò a mancare il necessario per vivere e così incominciarono a farsi la guerra per un tozzo di pane.
    Brussi era il nome che si era dato la popolazione che ormai viveva solo di espedienti, senza leggi e sempre in lotta, pieni di odio e rancore. Il loro grande desiderio era di potersi vendicare contro chi li aveva allontanati.
    Così cominciarono a effettuare scorribande al di là del fiume per saccheggiare e distruggere tutto ciò che incontravano sul camino.
    L’energia dell’unicorno era sempre riuscita a respingerli fino al momento in cui dal centro della terra emerse un’entità malvagia che, in cambio di obbedienza incondizionata, diede loro un fuoco proveniente dagli inferi, il cui potere distruttivo era invincibile e indomabile.
    Quello che stai osservando è l’ultimo periodo di queste due civiltà.
    A quel punto i Brussi misero il fuoco in enormi recipienti, costruirono carri per trasportarlo e, quando tutto fu pronto, attaccarono il territorio che voi conoscete come Egitto.
    Il popolo inerme soccombeva sotto il grande incendio: ogni tentativo di spegnimento falliva, anzi alimentava le fiamme che diventavano sempre più alte.
    L’Entità Suprema sentenziò che solo un grande diluvio avrebbe spento il fuoco e sconfitto i Brussi.
    Ricevetti l’ingrato compito di far sommergere la terra dall’acqua.
    Feci piovere ininterrottamente per quaranta giorni e quaranta notti; tutto fu sommerso e il fuoco fu spento. Pochi uomini sopravvissero con il compito di ripopolare la terra.
    L’Entità Suprema però non aveva previsto che anche alcuni Brussi si erano salvati e con loro il germe del male, dell’invidia, della violenza, del desiderio di conquista.
    Il racconto era finito.
    Il professore si riscosse: teneva in braccio la statua dell’unicorno senza riuscire a spiegarsi come fosse stato possibile, visto che la cupola era intatta e non si vedeva alcun pertugio per entrare.
    Felice per la scoperta, già assaporava la gloria degli altari, ma l’unicorno lo guardò negli occhi e nella mente echeggiarono queste parole: “Ti ho cercato per affidarti il compito dì mettere in guardia l’umanità intera. Dì loro di smetterla di comportarsi così, di farsi guerra autodistruggendosi, il pericolo di un altro olocausto è vicino. Va’ e cerca di compiere ciò che io non posso più fare”.
    Stremato, il professore si accasciò e pensò di riposare un po’: poi avrebbe ripreso il cammino per compiere ciò che l’unicorno gli aveva chiesto.

    Erano passate molte settimane, del professore non si avevano avuto più notizie; i colleghi preoccupati decisero di far avviare le ricerche nella parte di deserto di cui spesso aveva disquisito sulle civiltà egizie perdute.
    Passarono altri giorni e quando lo trovarono aveva lasciato questo mondo. Stringeva amorevolmente tra le braccia la statuetta di un unicorno, ma insieme ai papiri erano spariti i geroglifici che avrebbero dovuto mettere in guardia l’umanità.
    L’espressione dell’animale era afflitta: aveva fallito e il mondo sarebbe andato incontro al suo destino senza rendersi conto del grave pericolo che correva.
    Solo il professore aveva raggiunto il suo obbiettivo: sarebbe stato ricordato per aver fatto un grande ritrovamento archeologico.

    Edited by Ida59 - 4/7/2023, 21:09
     
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    32

    Status
    Sviluppo della trama 4 di Gigi


    Pene d’amore


    L’illustre scienziato Giuseppe Bianco aveva rinunciato alla vita sociale per dedicarsi solo agli studi, rintanandosi in un laboratorio asettico.
    Fu assunta Enrica, una giovane stagista, per apprendere le tecniche e aiutarlo nella progressione della ricerca.
    La ragazza si presentava in ufficio con vestiti colorati e sgargianti, per dare vivacità all’ambiente: pareva di soggiornare una camera mortuaria.
    La giovane aveva portato una ventata di aria fresca e di allegria, con la sua spensieratezza, creando l’interesse di Giuseppe, abituato alla solitudine.
    Enrica un giorno fece cadere con intenzione la matita dalla scrivania, per osservare la reazione dello scienziato; egli subito si chinò per prenderla e, nel guardare sotto il tavolo, avvistò due bellissime gambe lunghe, abbondantemente scoperte e ne rimase sconvolto.
    L'interesse che provava per la giovane, aumentava di giorno in giorno con impeto.
    Accortasene, lei lo istigava con atteggiamenti provocatori: lo sfiorava con i seni, oppure dimenando il sedere, incedendo nello studio ormai non più asettico.
    Voleva attirare l’attenzione per farsi ammirare, per entrare nelle grazie dell’uomo: anche se aveva una certa età era ancora attraente. Poteva aiutarla nello studio e nella ricerca e, perché no, vista l’attenzione, anche passionalmente.
    Lui era molto affascinato della ragazza e, una sera, trovò il coraggio per invitarla a cena in un rinomato ristorante.
    Al ritorno, durante la passeggiata, ammirarono le stelle in cielo; ma Giuseppe non riuscì a separarsi del ruolo accademico chiarendole l’ordine di ogni costellazione. Durante la spiegazione la giovane fece finta di inciampare.
    Lui, premuroso, la prese per mano per non farla cadere.
    Percepì un piacevole contatto; la sensazione di passaggio di corrente gli attraversò il corpo, illuminando tutto l’essere.
    Provò un’eccitazione che non sentiva da tempo.
    Enrica aveva percepito l’attimo dal sussulto dell’uomo; emozionata a sua volta dalla reazione provocata, lo ricambiò con un bacio sulla guancia.
    Espansero l’intimità finché, in modo naturale, non giunsero alla fatidica notte d’amore.
    Ma, data l’età, Giuseppe era in difficoltà nei trasporti affettuosi con Enrica: aveva bisogno di uno stimolo in più, e costante.
    Si ricordò di un collega che gli aveva confidato il proprio problema d’impotenza. L’amico gli rivelò che aveva risolto la situazione da una erborista, dalla fama di fattucchiera, in un famoso centro commerciale.
    Vi si recò subito spiegando il problema.
    Dopo averlo intenso, la donna estrasse da sotto il banco un vecchio tomo dalla consunta copertina un tempo dorata. Al centro era inciso uno sbiadito unicorno nero.
    Scartabellò le pagine, scritte con una calligrafia d’altri tempi, ricavando la ricetta: preparò gli ingredienti che mise in un flaconcino, inserendo nell’incarto il foglio illustrativo con le modalità d’uso.
    Ma il desiderio di Giuseppe era così tanto, che non ebbe tempo di leggere le istruzioni: ingoiò tutto il contenuto del flacone.
    L’immenso piacere durò un’intera notte.
    Ma la preoccupazione sorse quando constatò che non tornava più in posizione di riposo.
    Il rapporto andava a gonfie vele, ma quell’affare sempre teso nella patta dei pantaloni dava fastidio e lo metteva pure a disagio.
    Si rivolse di nuovo alla fattucchiera spiegandole che quel corno sempre teso lo imbarazzava, oltre a causare un esaurimento fisico per il continuo utilizzo: aveva bisogno di trovare momenti di pausa.
    L’erborista gli spiegò d’avergli venduto la dose annuale: doveva prenderne poche gocce alla volta, e solo al momento desiderato:
    - Ma non ha letto le istruzioni?
    Quindi gli raccontò che anticamente il preparato serviva per far crescere il corno ai giovani unicorni per aumentarne la loro magia, così narrava la leggenda: più era lungo, maggiore sarebbe stato l'effetto.
    - Per spegnere il fuoco del desiderio, - lo informò la fattucchiera – dovrebbe fare impacchi di acqua fredda; oppure mettersi una borsa di ghiaccio sulla parte, così col freddo il corno si ritrae: quando avrà il desiderio levi l’applicazione e vedrà che subito si allungherà.
    - Non ci sono altre indicazioni? Devo subire la tensione fino a quando non si sarà esaurito l’effetto del siero? - Domandò angosciato Giuseppe.
    - In alternativa, per alleviare il disturbo fugace dovrebbe ballare la tarantella, - gli rivelò l’erborista – com’è nella tradizione pugliese: quando le ragazzine lasciano l’età infantile per entrare nella pubertà, ballano fino allo sfinimento per far uscire il veleno del morso della tarantola; così dovrebbe fare lei.
    - Penso che non sia un bel vedere un uomo ballare da solo, oltretutto uno scienziato; mi darebbero del pazzo! - Rispose Bianco.
    - Se questi suggerimenti non le stanno bene, - proseguì la fattucchiera - deve solo portare a spasso il suo cane prima di andare a letto; vedrà che dopo un paio di ore di corsa torna a casa esausto, avendo fatto uscire parte dello stimolante insieme al sudore: subito dopo fare l’amore - predisse la donna – e riposerà serenamente.
    Giuseppe scelse la terza indicazione che gli sembrava meno invasiva.
    Ma era il cane a non essere contento della situazione; a volte doveva spronarlo per farlo correre.
    Con questa terapia, pian piano, l’effetto incominciò a scemare, fino a tornare alla normalità.
    Esaurita l’efficacia del preparato il rapporto diventò scialbo.
    Giuseppe doveva darsi una mossa e cercare un metodo naturale che durasse solo il tempo necessario di un rapporto, se voleva salvare il legame con la giovane stagista.
    Capendo le difficoltà dell’uomo, che Enrica non voleva perdere, cercò di aiutarlo.
    Aveva sentito parlare di un famoso libro: “Come migliorare le prestazioni sessuali”, va in libreria e lo acquista; legge attentamente per trovare la soluzione più consona a entrambi. Si sofferma sul racconto di Priamo, il re di Troia: egli dichiarava che ingeriva peperoncino piccante prima di ogni rapporto sessuale, per soddisfare i piaceri delle sue dieci mogli.
    Ogni giorno Enrica, all’insaputa dell’uomo, gli preparava il pranzo con del peperoncino piccante.
    Giuseppe lo mangiava con appetito e non ebbe più problemi con la sua compagna; gustava quel cibo volentieri, oltretutto era saporito.
    Tutto andava a gonfie vele, senza incappare in situazioni con spiacevoli controindicazioni.
    Erano entrambi soddisfatti della situazione, soprattutto lei che non voleva perderlo. Aveva trovato il rimedio ai problemi all’insaputa dell’uomo: Giuseppe credeva infatti di aver ritrovato l’eterna giovinezza, e la virilità, solo con attrazione verso Enrica.
    Il loro rapporto suonava come note di una sinfonia di violino, non c’erano più note stonate ai loro piaceri amorosi.
     
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    32

    Status
    Sviluppo della trama 1 di Daniela - Disperto bisogno

    Il libro delle necessità



    Paolo è un insegnante di ragioneria molto vanitoso; ciò aumenta l’antipatia fra i colleghi di lavoro che lo evitano.
    Quando assumono una nuova bidella, Ramona, incomincia a farci un pensierino.
    La attende all’uscita e si ferma a parlare con la bella signorina mora:
    - Sa che è molto carina? Avrei piacere di fare la sua conoscenza. Posso invitarla qualche sera a cena, in un bel ristorante, oppure una passeggiata lungo il mare per conoscerci meglio? – la apostrofa.
    La ragazza, diffidente, gli risponde per le rime:
    - Cosa vuole da me? Sono solo una bidella, e non voglio farmi prendere in giro da lei. Nei suoi confronti girano voci negative. Chi crede di essere? Un fenomeno? - Tronca lasciandolo lì come un allocco.
    Paolo, offeso, decide di farle pagare lo smacco subito.
    Dal padre di un allievo, custode in un supermercato, era venuto a conoscenza che la bidella, per incrementare lo stipendio, si recava al centro commerciale dopo la chiusura per fare pulizie; lo stesso spettegolò che, per divertimento, ma in gran segreto, praticava a casa la chiromanzia con carte da tarocchi.
    Paolo per vendicarsi escogita un modo per farla licenziare.
    Ricatta il custode, minacciandolo di rivalersi sul figlio, e lo convince ad aprire la porta del centro commerciale per indagare sull’attività di Ramona.
    Furtivo, guarda nel mobiletto della ragazza, e trova le carte dei tarocchi; ma occorre una causa più efficace per farla licenziare; non basta per inguaiarla. Bisogna esagerare. Ad esempio, fotografarla mentre sta lavorando.
    Ramona, mentre lava il pavimento, se lo trova alle spalle:
    - Ho trovato il sistema di farti fuori - Ghigna il professore estraendo il cellulare per scattare le foto incriminanti.
    Mentre Paolo cerca di inquadrarla, Ramona lo colpisce violentemente con il manico dello spazzolone e lo stende a terra con un bernoccolo sanguinate in fronte.
    Spaventata, si dà alla fuga riparandosi nel reparto libreria.
    Ansante, si appoggia a uno scaffale e, inavvertitamente, fa cadere un libro ai piedi.
    Incredibilmente, il titolo “Il libro delle necessità” s’illumina.
    Ramona si vede riflesse nella copertina dorata; senza rendersene conto chiede aiuto e viene risucchiata ritrovandosi su una spiaggia affollata.
    Il libro lì accanto piano piano svanisce.
    Le persone attorno si divertono, si abbronzano, giocando e bevendo bibite al bar dello stabilimento balneare.
    La sua attenzione è attirata da una veggente seduta al tavolino che le schiaccia l’occhio per invitarla a farsi leggere il futuro con i tarocchi.
    La ragazza acconsente e ascolta la predizione:
    - Un uomo con un bernoccolo sulla fronte si è innamorato di te, e sta giurando sul libro delle necessità che farà di tutto per conquistarti ed entrare nelle tue grazie. E’ disposto a cambiare il suo atteggiamento verso il prossimo per amor tuo.
    La veggente aveva visto giusto. In effetti Paolo aveva capito che con il suo comportamento superbo non poteva conquistare nessuno, men che meno Ramona, emblema della semplicità. Doveva scendere dal piedistallo e mettere i piedi a terra se voleva integrarsi umanamente con le persone con cui lavorava.
    Ramona, risvegliatasi dall’incantesimo, comprende che la dichiarazione di Paolo era sincera; ma il suo comportamento arrogante l’aveva ingannata, perciò non aveva accettato la sua proposta.

    Passa del tempo ed entrambi a malapena si guardano; ma Ramona nota il nuovo comportamento di Paolo: si dimostra gentile e premuroso, non solo nei suoi confronti, ma anche verso i colleghi.

    Paolo, anche quella sera portava a passeggio il cane al guinzaglio.
    Girando l’angolo di una casa si scontra con Ramona, anche lei a spasso con il suo dobermann, procurandole un bernoccolo in fronte.
    Si guardano in faccia e si mettono a ridere a crepapelle; il conto era pareggiato.
    Paolo incomincia a scusarsi affranto della fatalità causata, balbettando scuse e a profusione. In particolare, umile e pentito le chiede perdono per il comportamento sconsiderato tenuto al centro commerciale: la semplicità della ragazza lo aveva disarmato, sgonfiando in un colpo tutte le sue borie e presunzioni. Si era reso conto, non solo di apprezzarla, ma che un sincero sentimento d’amore gli era nato in cuore.
    Vedendolo così innamorato, a Ramona brillano gli occhi di gioia e fiducia, e spera in un nuovo invito a cena. Infatti, per scusarsi, Paolo glielo ripropone e lei accetta con entusiasmo, perché in realtà il giovane le piaceva: era stato solo il suo atteggiamento sbagliato a bloccarla.

    Da quel giorno, tutte le sere, in compagnia dei loro cani, si recano ai giardinetti; gli animali corrono qua e là divertendosi, mentre i due innamorati tubano come piccioni e immaginano il loro futuro.
    A volte Ramona si diverte a leggergli le carte: guada caso esce sempre la donna di cuori: la lampante dimostrazione d’amore per Paolo.
    In breve diventano una coppia invidiabile; anche i colleghi di lavoro erano contenti nel vedere due persone così innamorate, seppure con culture diverse.
    Dopo alcuni mesi, Paolo propone a Ramona di diventare sua moglie.
    Lei, felice, acconsente.

    “Il libro delle Necessità” aveva compiuto il miracolo.
    Il dio Eros aveva trafitto il cuore dei due giovani con il suo dardo.

    Edited by Ida59 - 2/11/2023, 17:22
     
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    33

    Status

    La lettera misteriosa


    Nel prestigioso liceo artistico “Felice Casorati” di Novara insegna il professore Bentivoglio Rampin, particolarmente esperto in scenografia.
    All’approssimarsi della festa di San Gaudenzio, patrono di Novara, il professore riceve dal sindaco della città, amico del direttore del centro commerciale IKEA, una proposta per incentivare gli ingressi di nuovi visitatori. Il Preside, interessato a far conoscere le attività artistiche degli allievi, suggerisce al professore di assumerne l’incarico.
    Occorre preparare un luogo ispirandosi alla fantasia, realizzando le scene di un fondale boschivo in cui far comparire magicamente un personaggio caro ai bambini, capace di stupire e far sognare: un unicorno bianco.
    Bentivoglio accetta l’incarico di preparare, aiutato dagli allievi che stanno facendo lo stage annuale, un fondale di scena in cui dare libero sfogo alla creatività dei ragazzi.
    La proposta è accolta con entusiasmo dagli allievi che sperano di trasformare lo stage annuale in un buon voto collettivo: sul fondale verrebbe appeso un sipario che, opportunamente dispiegato, mostra un bosco incantato per realizzare uno spettacolo per i clienti del centro. Il fondale scenografico, infatti, fungerebbe da palcoscenico per alcuni artisti di strada con cui la scuola intrattiene contatti attraverso Bentivoglio.
    I preparativi fervono tra gli allievi anche se resta sospesa la decisione di chi e come realizzare e interpretare l’unicorno: serve un travestimento confezionato con un tessuto bianco, fluorescente, e una maschera col muso di cavallo con un corno che, posto sulla fronte, ad ogni movimento del capo dell’attore si illumini.
    Bentivoglio si chiede chi sarebbe più adatto al ruolo e all’improvviso gli sovviene che un caro amico attore/scenografo sarebbe adatto a interpretare la parte dell’unicorno, essendo molto alto e slanciato e dotato di un talento innato per i ruoli fantastici.
    Dieci giorni prima della festa patronale, Bentivoglio decide di incontrare l’amico Riccardo al fine di assicurarsi la sua collaborazione attiva allo spettacolo.
    Bentivoglio è amico di Riccardo da anni ma non conosce molto della sua origine; ignora che sia stato adottato da una famiglia di musicisti e che la sua origine sia gitana: i nonni paterni giunsero in Italia nei primi anni del novecento e la sua famiglia dovette poi fuggire durante i rastrellamenti voluti dall’esercito tedesco nella seconda guerra mondiale. I genitori biologici, disperati, consegnarono il figlioletto di tre anni ad un istituto di suore che se ne prese cura fino alla maggiore età. Riccardo non seppe mai quale fine avessero fatto i suoi genitori ma, adottato dalla coppia di musicisti, si inserì bene nel teatro sperimentale di Novara conseguendo un discreto successo.
    L’origine gitana aveva lasciato reminiscenze esoteriche in Riccardo di cui non era consapevole ma di cui involontariamente beneficiava con intuizioni e capacità di prevedere fatti che poi si realizzavano. Quella mattina, infatti, si era atteso la chiamata dell’amico per una sorpresa che lo riguardava.
    Di quanto rimasto della famiglia d’origine, conservato dalle suore, c’era un libricino con il suo nome inciso sulla copertina, contenente una busta sigillata. Riccardo non si era mai sentito di aprirla e ancora la conservava gelosamente senza conoscerne il contenuto.
    Nel frattempo Bentivoglio, cui fu commissionata la realizzazione del fondale boschivo a cura dei suoi allievi, assicurò loro che il lavoro sarebbe stato valutato collettivamente come stage scolastico.
    L’obbiettivo ufficiale era incuriosire i clienti del centro commerciale, quello ufficioso, invece, era scongiurare la chiusura del centro date le continue e sempre crescenti perdite economiche dell’azienda.
    L’insegnante doveva organizzare anche un gruppo di artisti di strada, promettendo loro compensi modesti, vista la situazione precaria del centro, offrendo però loro una occasione di visibilità in pubblico per mostrare il proprio talento.
    L’amico Riccardo, dopo avere a lungo meditato, si presenta all’appuntamento e confida a Bentivoglio di voler aprire in sua presenza la misteriosa e preziosa lettera dei genitori che non aveva mai avuto il coraggio di aprire.
    Tutto procede speditamente nella preparazione del fondale e nella realizzazione del costume e maschera dell’unicorno che avrebbe dovuto uscire allo scoperto quando le luci si sarebbero spente per qualche istante di suspence davanti al pubblico.

    Lo spettacolo Inizia con un balletto di fauni nel bosco incantato e il silenzio del pubblico fa eco alla voce narrante: attendete e la sorpresa arriverà presto.
    Bentivoglio e Riccardo si nascondono dietro il fondale e aprono la lettera misteriosa ma una magia accade: si ode uno scalpitar di zoccoli e compare in tutto il suo fulgore un unicorno bianco che si solleva sulle zampe anteriori agitando nell’aria una folta criniera.
    Il pubblico applaude fragorosamente e l’unicorno luminescente scompare, accompagnato da una musica inconfondibilmente gitana.

    Edited by Ida59 - 5/10/2023, 08:43
     
    .
39 replies since 10/3/2023, 16:38   2178 views
  Share  
.