Il segreto di Ida


Urla nella notte

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    Urla nella notte


    Autore/data: Ida59 – ottobre/novembre 2016
    Genere:angst, introspettivo
    Riassunto: L’urlo uscì, gli graffiò la gola e lacerò le labbra sottili, straziandogli il cuore e squarciandogli indelebilmente l’anima, e nella notte oscura il giovane urlò il suo infelice amore appassionato, senza avere il coraggio di implorare il perdono che non meritava, il sangue a macchiargli ancora le labbra.
    Disclaimer: Questa storia è di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

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    Urla nella notte

     
    Intorno vi era solo una landa fredda e desolata, pesantemente oppressa dall’oscurità cupa e silenziosa della notte.
    Il giovane uomo era apparso all’improvviso, ombra nera che affiorava appena nel nero del cielo notturno, rotto solo da tetri raggi di luna che filtravano a fatica dai varchi nelle nuvole scure.
    Era curvo, ripiegato su se stesso come un gracile vecchio, i lunghi capelli corvini a nascondergli il viso pallido e affilato distrutto dal dolore, le ginocchia affondate nel fango semi ghiacciato, le mani a graffiare spasmodiche la dura superficie cercando di soffocare la disperazione che gli attanagliava cuore e anima. Se ancora li possedeva…
    Il volto pallido e spigoloso era solcato da cocenti lacrime che, dall’abisso nero dei suoi occhi, ormai privi di ogni anelito di vita, riversavano sulle guance scavate la sua bruciante e imperdonabile colpa.
    Aveva ceduto alla terribile brama, spinto dall’arsura provocata dai macabri racconti del suo odiato Maestro, guidato da un istinto indotto da affilati canini che gli avevano rubato l’umanità e l’amore, per regalargli solo una tremenda immortalità di sofferenza, rimorso e rimpianto.
    Il giovane graffiò con violenza la crosta di fango ghiacciata scheggiandosi le unghie e lacerando la pelle delle dita, poi affondò con forza le mani nella terra fredda che presto avrebbe accolto per sempre il suo perduto amore.
    All’improvviso la bocca si spalancò con violenza, quasi lacerando le labbra sottili, e il giovane urlò, urlò tutto il suo atroce tormento, la tremenda sofferenza che aveva trattenuto in sé fino a quel momento, compressa in quel lungo, straziante urlo muto che lo soffocava mentre disperato stringeva la donna amata tra le braccia, solo pochi minuti prima, pallida e prosciugata d’ogni linfa vitale.
    Urlò la sua insostenibile angoscia, la colpa tremenda che devastava la sua non vita. La colpa dell’assassino che aveva guidato il carnefice dalla giovane vittima inerme e ne aveva fatto un macabro scempio.
    L’urlo uscì, gli graffiò la gola e lacerò le labbra sottili, straziandogli il cuore e squarciandogli indelebilmente l’anima, e nella notte oscura il giovane urlò il suo infelice amore appassionato, senza avere il coraggio di implorare il perdono che non meritava, il sangue a macchiargli ancora le labbra.
    Urlò, urlò il nome amato nel silenzio agghiacciato della notte nera, affondando con furia le dita insanguinate nel terreno, quasi a scavare una tomba che gli permettesse di raggiungere alfine l’amata, abbandonando sulla fredda superficie, illuminata da tetri raggi di luna, solo l’ombra scura dell’involucro del proprio corpo maledetto, l’anima incrinata e il cuore infranto per sempre seppelliti con lei, l’unica donna che aveva amato, l’unica donna che avrebbe mai amato.
    Per sempre!
    L’unica donna che aveva ucciso, suggendone ogni stilla di sangue in una crescente e inarrestabile follia, fagocitato da se stesso e dalla propria maledizione. Aveva giurato di starle lontano, da quella notte funesta in cui era iniziata la sua perdizione e il suo orribile calvario. Aveva a lungo resistito, indebolendosi ogni giorno di più, ma infine era tornato da lei, carnefice di sangue.
    Ma non sarebbe mai più accaduto.
    Avrebbe trascorso tutte le sue eterne notti sulla sua tomba, inginocchiato davanti al marmo che ne celava i resti di cui era stato fatto scempio. Da lui, dal mostro che era diventato. Dal mostro che non sarebbe mai più stato.
    Chiuse gli occhi, il sangue ad accecarlo e ad assordarlo.
    Il sangue di lei, il sangue della donna che amava, il sangue della donna che un mostro aveva ucciso.

    Edited by Ida59 - 13/4/2022, 17:48
     
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    Ve lo giuro, sono una persona solare e ottimista: chi mi conosce di persona può testimoniare a mio favore.
    Ma quando scrivo, non so perchè, il mio lato oscuro, gotico e tragico, prende il sopravvento.
    Nascono così racconti tremendi, densi di dolore e agghiacciante disperazione.

    Nella prima versione, il racconto era una fanfiction (saga di Harry Potter) scritta per un concorso in cui occorreva descrivere come un personaggio (a scelta) avesse trasorso la notte di Halloween 1981 (quella in cui Voldemort, dopo averne ucciso i genitori, ha cercato di uccidere anche il piccolo Harry Potter ma il suo Avada Kedavra gli è rimbalzato contro).
    Che personaggio credete abbia scelto? Ovvio. Severus Piton. Di conseguenza si prospettava per lui una notte di devastante disperazione, considerato che si trattava della notte in cui è morta la donna amata, perdita di cui si sente pienamente responsabile.

    Passare dalla fanfiction al racconto originale è stato abbastanza facile: il mago che si sente in colpa si trasforma in un vampiro realmente colpevole della morte della donna amata. Ed ecco che le sua urla trafiggono la notte.

    Vi auguro una rilassante lettura.
     
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1 replies since 15/7/2018, 14:56   172 views
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