Il segreto di Ida


La rosa nera

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  1. Ida59
     
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    La rosa nera


    Elina si era svegliata all’improvviso dopo la mezzanotte, l’immagine di un sogno affascinante nella mente, incapace di riafferrarne il fugace ricordo.
    Si alzò con uno sbuffo infastidito: la lettera era ancora là, insieme al medaglione, a rammentarle una romantica storia impossibile. Accarezzò l’effige del cammeo e, all’improvviso, prese una decisione irragionevole; afferrò il cappotto e lo indossò: era caldo e imbottito, lungo quasi fino alle caviglie, e solo una spanna della candida camicia da notte spuntava.
    Era una follia evidente, un’inaccettabile assurdità che solo le giovani e ingenue eroine dei film potevano commettere. Si lasciò trascinare dall’irresistibile e pericoloso impulso che la obbligava a uscire, nella nebbia della notte del quattordici dicembre, tinta appena del chiarore di una luna lattiginosa e sfocata.
    Una folata d’aria ghiacciata la accolse. La via era illuminata da appannati lampioni che irradiavano una fievole luce gialla: profonde chiazze d’ombra si estendevano tra il piccolo cono di luce e il successivo, il fumo caliginoso che saliva in lente volute verso il cielo.
    Fece pochi passi e la nebbia la avviluppò, densa e accecante, silenziosa e avvolgente. Percepì un’ombra alle spalle: accelerò il passo allontanandosi con sciagurata imperizia dalla sicurezza dell’albergo.
    Si voltò indietro e si sentì perduta: dov’era la porta da cui era appena uscita?
    Un ululato.
    Elina sentì il cuore balzarle in petto e corse indietro.
    Il portone non esisteva più.
    C’era solo nebbia, fredda e cupa.
    E l’ululato che risuonava attutito, dovunque, incombente intorno a lei.
    Poi vide l’ombra.
    Enorme, tenebrosa e angosciante.
    Minacciosa e spaventosa.
    Schizzò indietro e riprese a correre: all’improvviso, nei vapori grigi della bruma che si stemperavano nell’aria, apparve l’arco slanciato del mercato. Strinse il medaglione tra le mani e corse a perdifiato.
    Oltrepassò l’arco, ma il mercato non c’era: solo un antico chiostro illuminato dal raggio di luna che filtrava dalle nuvole fendendo lo spesso strato di nebbia fumosa. Riconobbe l’immagine della stampa, il chiostro con la massa di rovi scuri al centro e il porticato elegante, con le sottili colonne chiare che sostenevano gli archi gotici.
    Continuò a correre, la bocca secca e il respiro corto, ma i rovi allungarono maligni le scheletriche dita: incespicò, vacillò, picchiò un ginocchio a terra e si rialzò, l’ombra tenebrosa sempre più vicina, opprimente e agghiacciante.
    Si sentì ghermire alle spalle: con sforzo supremo si sottrasse alla presa abbandonando il cappotto nelle mani voraci dell’ombra.
    L’aria gelida la avvolse e una raffica di vento le scompigliò i capelli: Elina urlò, invocando aiuto nel nulla della notte, mentre l’ombra prendeva forma davanti a lei, incorniciata dai raggi di luna che sbucavano dalle nuvole.
    Era enorme, un ghigno raccapricciante a mostrare lunghi canini affilati.
    La ragazza invertì ancora la direzione, il cuore in gola e il respiro spezzato: davanti a lei c’era solo un muro insuperabile di rovi che crescevano a dismisura, tetra personificazione del terrore; si protesero su di lei, perfidamente crudeli, e le graffiarono mani e viso.
    Si ritrasse di scatto ma i rovi le avvolsero pungenti le caviglie e cadde di nuovo sulle ginocchia: il medaglione, strappato dalle spine, rotolò via, lontano, irraggiungibile. In un tentativo estremo, mentre cadeva a terra, allungò la mano e con la punta delle dita sfiorò il cammeo che si aprì: le iridi nere del giovane dalla pallida carnagione scintillarono nella notte, luminose, trafitte da un raggio di luna.
    Elina per l’ultima volta implorò un aiuto impossibile, mentre l’ombra scendeva implacabile a ghermirla. Il volto del giovane scomparve, gli occhi inglobati dall’oscurità, e un lungo e prepotente spino sgorgò con irruenza dal terreno.
    Serrò le palpebre e urlò, un ultimo urlo disperato che attraversò le nuvole perdendosi nel cielo.
    Poi fu solo immoto silenzio.
    Nulla si muoveva, salvo l’aria glaciale tra i lisci capelli biondi, come fatale spiro di morte.
    Riaprì appena gli occhi, la bocca a cercare l’aria in brevi singulti.
    Un candido raggio rischiarava il terreno e la spaventevole ombra era svanita.
    Una rosa nera era sbocciata al bacio sensuale della luna.
    Lenta stillava lacrime di sangue, preziosi rubini illuminati dai limpidi raggi lunari.
    Elina, con la sola leggera camicia da notte addosso, rabbrividì nell’aria gelida, all’improvviso tersa.
    Fu come la sensazione carezzevole di un dolce abbraccio, un tiepido sfiorarle la pelle intirizzita: un mantello nero la avvolse piano, in un caldo amplesso delicato.
    E la realtà svanì.

    Edited by Ida59 - 22/10/2018, 22:31
     
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