Il segreto di Ida

Sfida dei 5 elementi

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    Storia di un prete.



    Massimiliano era un prete.
    Non vestiva in modo tradizionale, come in seminario, con la tonaca nera e lunga e il colletto rigido che gli dava un’aria smarrita. In seminario era tutto era tutto nuovo e tutto incerto. iI giovane però era sicuro di voler essere un prete, e prete diventò. Il ricordo di quel momento era ancora vivo dentro di lui, quando, con la faccia per terra promise obbedienza, povertà e castità.
    Ma come era arrivato fino a lì?
    Era cresciuto in una famiglia tradizionale, un bambino sereno e tranquillo: giocava, rideva e studiava, andava bene a scuola, aveva amici simpatici e la sua vita scorreva anno dopo anno senza troppi traumi. Da adolescente era introverso, selettivo nelle amicizie, ma sempre sorridente. Poi si innamorò. Era carina la ragazzina con i lunghi capelli castani e gli occhi grandi da cerbiatta, parlava sempre di cose importanti, non era come le altre e Massimiliano ne restò incantato. Erano sempre insieme, un corpo e un’anima.
    Ma non era quello il suo destino, non c’era una donna nella sua vita. Alice scoprì presto di essere ammalata gravemente, si allontanò da Massimiliano e, dopo poco tempo, dopo cure estenuanti morì. Fu un colpo tremendo. Massimiliano studiò medicina per aiutare i malati incurabili: fu per lui come una missione, un ricordo perenne di Alice; in ospedale fu subito considerato il più bravo, il più dedito al lavoro.
    A volte si lavora senza pensare e il tempo passa senza che ce ne accorgiamo, giorno dopo giorno. Gli anni non pesano quando si è giovani, non si pensa al tempo che passa e così accadde a Massimiliano: era talmente preso dal suo lavoro che dopo lunedì era subito sabato e così via. Non pensava a sé, non ascoltava la voce che sussurrava al suo cuore, non aveva tempo.
    La domenica! Come era pesante la domenica: se non era di turno, era un giorno tutto per sé e per i suoi ricordi: usciva con qualche amico, conosceva delle ragazze, aveva a volte sporadici rapporti che lo lasciavano con l’amaro in bocca.
    Ma una domenica strana, passando davanti a una chiesa sentì l’odore particolare dell’incenso. Ricordava l’incenso, aveva percorso il cammino di Santiago di Compostela e aveva visto il turibolo con l’incenso percorrere la navata centrale del santuario trattenuto dalle corde degli addetti: sentiva ancora l’emozione e l’odore. Entrò in chiesa e si guardò intorno smarrito.
    Da quando aveva perso Alice ce l’aveva con Dio: come aveva potuto riprendersi Alice e lasciarlo solo nella disperazione, come aveva potuto? Entrò in chiesa con quel pensiero e, davanti alla croce, si sentì rispondere: ”Il Signore dà, il Signore toglie“ .
    Chi era mai lui per giudicare la vita? Chi era per giudicare? La vita era bella e imprevedibile, il dolore ne faceva parte come la felicità, come la pace del cuore, come la morte. Con quelle risposte uscì e lentamente si recò verso casa.
    Nella notte un pensiero lo colse e gli martellò nella mente: dedicarsi agli altri era importante, ma non bastava curare il corpo, c’erano lo spirito e la mente da curare, gli animi abbandonati e infelici.
    Così da un giorno all’altro Massimiliano decise: entrò in seminario e divenne prete, lasciando genitori e amici nello stupore più totale.
    E fu prete.
    Dapprima in una parrocchia disastrata come aiuto, poi in ospedale come cappellano. Questo incarico gli si addiceva: consolava gli ammalati, seguiva le famiglie e gli rimaneva del tempo libero per dedicarsi ai suoi studi e alle sue letture. La vita scorreva tranquilla: il lavoro in ospedale, i discorsi piacevoli con medici e infermieri, la meditazione serale che sempre lo coinvolgeva e appassionava.
    Poi una notte si svegliò di soprassalto con un fortissimo mal di denti.
    Sarà un ascesso pensò tentando di riaddormentarsi, ma non ci fu verso di dormire: si alzò, si vestì e corse in ospedale, li qualcuno lo avrebbe aiutato. E così fu. Il medico di guardia era anche dentista, si stava specializzando: prese con sé Massimiliano e gli curò l’ascesso con un forte antibiotico. Fu subito sollievo, ringraziò la collega di guardia e si allontanò. Non solo era una dentista, ma era anche molto graziosa e gentile.
    Una donna!
    Non aveva più pensato da molto tempo alle donne: era un prete, aveva preso i voti e non intendeva tradirli. Uscì nella notte dall’ospedale, un’aria frizzante gli andò incontro e lo rincuorò. Non pensò più a nulla e tornò a casa attraversando il ponte sul fiume che separava la sua abitazione dall’ospedale. A casa tentò ancora di dormire, però gli tornò in mente la dentista; era ancora giovane, Massimiliano, aveva pulsioni sessuali che cercava di allontanare, ma quella sera tornarono più che mai vive e presenti.
    Che magnifica tentazione le donne! Ma lui era un prete e fantasticò che si era votato al celibato, non alla castità! Il giorno successivo senza quasi rendersene conto cercò ancora la dentista con la scusa del dente da curare.
    I giorni presero una nuova strada e entrò in lui la tentazione.
    Massimiliano però era fermo sulla sua scelta e si confidò con il suo padre spirituale. Il padre conosceva bene queste tentazioni, non era più giovane ma lo era stato, accidenti se lo era stato. Prese con sé Massimiliano e gli consigliò un colloquio con il Vescovo e di farsi mandare in missione.
    In Africa! Come era lontana l’Africa, sarebbe mai stato capace di lavorare lì? Ma era un prete e doveva obbedire ai superiori. Inoltre l’idea dell’Africa lo spaventava ma anche lo affascinava! Fece la valigia, salutò amici e parenti e salì sull’aereo che lo avrebbe portato chissà verso quale avventura.

    Chi non ha mai visto un paesaggio africano non sa cos’è la bellezza, chi non è mai vissuto in Africa non sa cos’è la fatica e il dolore. Nei villaggi africani sono le donne a lavorare di più, senza tregua; gli uomini sono impegnati nella politica e nella caccia e poi ci sono i bambini: quanti bambini! Bellissimi, sommariamente vestiti con i loro corpicini perfetti, i loro denti perfetti, i loro giochi semplici e ugualmente coinvolgenti.
    Chi vede l’Africa non la può dimenticare e chi vive in Africa non se ne può più allontanare. Massimiliano arrivò al villaggio su un autobus sgangherato e stracolmo di uomini e donne. C’era una missione al centro del villaggio, con poche suore e un prete. Faceva caldo, molto caldo, ma dopo un po' non lo sentì più, ci si abitua a tutto.
    Massimiliano capì subito che c’era molto da fare in quel mondo così lontano, dove non c’erano strade per raggiungere il più vicino ospedale e l’emporio dove acquistare viveri di prima necessità, dove l’unico pozzo d’’acqua era raggiungibile a fatica.
    La vita era molto difficile in Africa, ma alla sera il cielo stellato, unico al mondo, donava la pace e la serenità che non si trova da nessuna parte.
    Il giovane prete cominciò a vivere, a capire cosa mancava e cosa doveva fare.
    Iniziò dai bambini, da una scuola primitiva: li chiamò a sé attraendoli con nozioni interessanti e ai più restii offrì un sacchetto di caramelle che si era portato dal lontanissimo mondo che era stato suo e adesso aveva quasi dimenticato.
    I bambini iniziarono a capire che solo con l’istruzione, con il saper leggere e scrivere si può aiutare il proprio paese. L’Africa è stata oppressa per anni, dai colonizzatori e poi dai propri governanti, dittatori senza scrupoli e senza amore per il proprio paese, ma solo per il denaro.
    Massimiliano si affezionò ai bambini con gli occhi neri pieni di interessi e voglia di vivere; diede loro istruzione ma anche divertimento e sorriso. Iniziò a scandire i giorni e le settimane e nel giorno di domenica li caricava su una vecchia jeep e li portava al mare, fermandosi su una spiaggia bianca davanti all’oceano.
    Il mare è blu come il cielo d’Africa, una massa di acqua per giocare e per immergersi, riemergere e poi immergersi ancora! I bambini giocando impararono dal loro prete molte nozioni che non conoscevano sulle alghe e sui pesci che si possono vedere anche senza strumenti. I bambini si immergevano e prendevano i pesci con le mani, per osservarli e studiarli, imparando divertendosi.
    A un tratto accade una cosa straordinaria: un bimbo catturò un pesce a forma di stella!
    Era una stella marina con i tentacoli che si agitavano in cerca di cibo. Le stelle marine vivono in tutti i mari del mondo in quanto particolarmente adattabili. Sono apparentemente immobili mentre si riposano, in attesa della notte per cacciare. Il pesce a forma di stella sembrò un miracolo ai bambini che lo guardavano estasiati, parlandone tra loro come di un dono. Poi lo posano sulla sabbia: sarebbe morto, ma lo scheletro sarebbe stato testimone del miracolo.

    Così iniziò e continuò la storia di Massimiliano: ritornò in Italia solo per poco tempo, per salutare i genitori e per chiedere nelle varie parrocchie aiuti per la sua Africa; ma il mal d’Africa ormai aveva colpito anche lui: non c’era gioia senza l’Africa, non c’era vita senza quei tramonti, senza quel mare, senza quella gente che faticava tanto e sperava sempre in una vita migliore.

    Edited by Ida59 - 2/12/2023, 11:30
     
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    Margherita e la sua storia


    Margherita era una bravissima sarta con una lunga storia alle spalle; adesso non lavorava più, si era fatta anziana, ma il suo lavoro faceva ancora parte di lei e così cuciva per far felici gli altri.
    Seduta davanti alla sua macchina da cucire sorrideva pensando al sorriso del bambino che avrebbe indossato il costume da “principe” per carnevale, pensava alla gioia della ragazza che sarebbe andata alla festa con il bel vestito ed era quasi felice.
    La storia di Margherita non era banale, come non era banale lei con i riccioli biondi, il sorriso dolce e l’intelligenza pronta e vivace. Era figlia di contadini, ma si era capito subito che non avrebbe seguito le orme dei genitori così com’era raffinata e gentile. Fu accolta dalle suore del circondario che le insegnarono il ricamo e dalle quali imparò la dolcezza e l’amore per il prossimo; non da tutte, naturalmente, ma da quelle che più amavano la loro missione. Poi Margherita entrò nel mondo e a Torino entrò in una casa di mode e divenne una “sartina” come tante a quel tempo.
    “La merveilleuse” era una sartoria famosissima e Margherita ben presto divenne una “première” cioè una prima lavorante. A quei tempi, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, Torino era ancora influenzata dalla Francia a lei così vicina e la città ricordava un po' Parigi.
    Difficile raccontare com’era la vita allora subito dopo la guerra, una guerra che aveva rapito a un’intera generazione la giovinezza e addirittura la vita a giovani belli e forti, ma la vita vince sempre e ha il sopravvento sulla sofferenza e così la voglia di ricominciare e di dimenticare era tanta. E l’amore? Che posto aveva l’amore nella vita di Margherita? A volte la vita ti prende con la sua frenesia: il lavoro, la famiglia d’origine, le corse sui tram per arrivare in orario, facendoti dimenticare chi sei, il tuo desiderio di amare e essere amata: Margherita a volte ricordava le suorine della sua infanzia e pensava che dedicarsi agli altri era bellissimo e forse sarebbe stato il suo destino. Ma non sarebbe stato così. Il destino si presentò nelle fattezze di un giovane con gli occhi neri piccoli e pungenti, capelli lunghi e ricci, con un sorriso ricco di speranza e di incertezza nello stesso tempo. Questo giovane si trovava per caso, il famoso caso della vita, sul tram con Margherita: quando i loro sguardi si incontrarono il mondo intorno scomparve improvvisamente per entrambi. Scesero alla stessa fermata, si guardarono ancora negli occhi, si presentarono e fu subito tutto diverso. Iniziò così una nuova vita a due, fatta di una famiglia e di tanto amore. Un amore strano, pieno di abbracci e di contrasti, nutrito dalle loro diversità.
    Ugo non era molto razionale, non aveva il famoso “posto fisso”: non lo voleva perché era un artista, un pianista, e per un artista la vita non era facile soprattutto se non si voleva scendere a compromessi. Ugo aveva una passione e un sogno al quale non voleva e non poteva rinunciare. Purtroppo è difficile restare legati ai propri sogni in una società che cresce, che non si guarda intorno e che pensa solo al benessere economico e a uscire da una povertà fatta di fame e di dolore. Ugo era combattuto tra l’amore per Margherita, alla quale voleva offrire anche la sicurezza economica, e la sua musica alla quale aveva dedicato da sempre la sua vita. L’amore trionfò; non poteva rinunciare a Margherita: avrebbe scritto nel tempo libero, passando le notti a comporre la sua musica e avrebbe costruito la famiglia che voleva Margherita. Con un concorso statale divenne insegnante di musica e subito dopo salì all’Altare con lei e fu felicità. Ugo non aveva mai pensato alla felicità, non ne conosceva l’esistenza: ma esisteva e poteva toccarla con mano ogni volta che Margherita si avvicinava, la notte quando la sentiva respirare accanto. Quando si è giovani si pensa di avere a disposizione tutto il tempo possibile, ma il tempo passa e ci divora! “Crono divora i suoi figli” dicevano gli antichi greci e avevano ragione! Il tempo quindi passava inesorabile, nacque il loro primo figlio e la felicità raggiunse il culmine.
    I giorni seguivano ai giorni, diventavano mesi e anni; si giurarono che sarebbero stati felici soprattutto per lui, per Edoardo. Ugo suonava appena aveva un po' di tempo: scriveva le note, le cancellava e le riscriveva, suonava e oramai aveva riempito molti fogli pentagrammati in cui c’erano tantissime cancellature, aveva consumato matite e quasi tutta una gomma da cancellare, ma non era soddisfatto. Doveva ritagliare il tempo alle sue attività, spesso veniva interrotto dal pianto di Edoardo, aveva bisogno di un nuovo pianoforte, i soldi non bastavano mai, nonostante Margherita lavorasse alacremente e la vita era ridotta ad un correre continuo.
    Dopo un lungo e travagliato lavoro, spedì la sua prima opera a una casa editrice di musica ed ebbe il primo rifiuto. Fu un momento di depressione: “un rifiuto” non pensava potesse accadere proprio a lui e la colpa fu subito di Margherita. La sua musica era buona, lo sapeva Ugo, ma non era possibile lavorare in quel modo!
    Nella scuola di musica c’erano molti colleghi con cui scambiare impressioni. Uomini e donne con una grande passione, ma stanchi di lottare con la realtà e rassegnati a una vita mediocre, senza applausi e senza palcoscenico: solo una classe davanti, di giovani che presto avrebbero perso anche loro le speranze di un futuro successo.
    Ma ecco che un giorno entra in sala insegnanti una ragazza appena diplomata con un sorriso da fata e tanta vitalità. Tutti furono subito incantati e ammirati: Ugo la guardò di sfuggita e considerò tra sé che presto sarebbe diventata come tutti loro e continuò il suo lavoro di compositore, scrivendo e cancellando con una gomma ormai quasi esaurita. Forse per questa indifferenza, alla quale Gianna non era abituata, Ugo la colpì. Non per la bellezza, non per il sorriso, non per l’intelligenza, ma per l’indifferenza. Il destino a volte gioca con la vita delle persone, fa scherzi e giravolte: così prese Ugo tra le sue braccia e lo fece girare e girare fino a confonderlo.
    Al mattino andava al lavoro più allegro, non sapeva ancora perché, ma era così. In casa sempre le solite difficoltà: Margherita aspettava un secondo bambino, era sempre nervosa e il suo corpo stava cambiando per la maternità. Il corpo svettante di Gianna era un confronto troppo schiacciante e Gianna lo guardava, lo incoraggiava, gli sorrideva accattivante e Ugo ci cascò. Nacque una storia tra loro, fatta di sensi di colpa, incontri clandestini e sesso. Gianna non chiedeva e non si chiedeva nulla, andava avanti così senza parlare; Ugo era sopraffatto dagli eventi e dagli incontri segreti, dolore e amore erano i suoi sentimenti, non capiva più nulla e non scriveva più.
    E Margherita? Era presa dal lavoro, dai bambini e dalla vita che scorreva frenetica; Ugo non era più al centro dei suoi pensieri, era diventato come i mobili di casa, che erano lì tranquilli e per sempre. Così era Ugo per Margherita fino a quando scoprì un biglietto strano con una grafia sconosciuta, con parole che non riusciva a capire, o non voleva capire. In un lampo si squarciò un velo davanti a lei: Ugo la tradiva!
    Era troppo grave la scoperta: il cuore non reggeva una simile notizia e fu subito rabbia, fu scoramento e dolore. Affrontò Ugo, lo vide tremante davanti a lei che improvvisamente si scoprì una grande forza dentro e scoppiò in lacrime: lo insultò e lo cacciò di casa, gli intimò di non tornare più se non finiva quella storia immonda. Ugo uscì. La testa gli ronzava: rinunciare a Gianna gli dispiaceva, ma Margherita… Margherita era tutto per lui! Rinunciare a lei era impossibile, rinunciare ai suoi bambini era impossibile! Vagabondò per la strada affollata di gente che tornava a casa felice e tranquilla e li invidiò. Invidiò quelle persone che non sapevano nulla del suo dramma, che serenamente andavano incontro al futuro. Si trovò infine davanti al cartellone di un film: “Via col vento”. Il cinema era semivuoto e senza esitazione, senza pensare a nulla, pagò il biglietto ed entrò in sala, che era buia e semivuota come il suo cuore- Il film era bello, ma Ugo era assente, non riusciva a staccarsi dai suoi problemi e stava per uscire quando una frase della protagonista lo colpì in modo particolare: “in fondo domani è un altro giorno”! Uscì e ripensò alla frase: era vero, domani sarebbe stato per lui e per tutti loro un altro giorno.
    Prese la strada di casa e tornò. Il profumo di casa sua lo avvolse: profumo di bambini, di pannolini e di borotalco, tutto ciò che rende viva una casa. Con le lacrime agli occhi si avvicinò a Margherita e la implorò di perdonarlo: era stato un momento di debolezza, lui voleva solo lei, amava solo lei e non poteva vivere senza la sua famiglia! Anche Margherita pianse, anche lei rivoleva intatta la sua famiglia, e si abbracciarono. La vita ricominciò: Ugo cambiò lavoro, riprese a scrivere musica, finalmente vinse un concorso musicale e ritornò il coraggio e la voglia di scrivere come prima. Tutto fu dimenticato, ma non è facile dimenticare il dolore: talvolta il fantasma di Gianna ricompariva tra loro e allora bisognava scacciarlo con tutta la forza del loro amore.
    Questa è la storia di Ugo e Margherita, una storia banale come tante, una storia di amore e di dolore, di scoramento e di coraggio, una storia che vuole ricordare i buoni sentimenti, sentimenti che vivranno per sempre perché l’uomo ne ha bisogno e se non li ha li cerca in sé stesso e negli altri. La vita moderna è cambiata moltissimo in questi anni: tutto è diventato tecnologico, l’uomo si sente forte e potente, sente di poter gestire da solo la vita; ma non è così e come tanti anni fa, come l’uomo primitivo e quello del medioevo, come tutti gli uomini, cercherà sempre i buoni sentimenti, magari non confessandolo neppure a sé stesso, ma li cercherà e si aggrapperà a loro per poter vivere.

    Edited by Ida59 - 1/2/2024, 20:34
     
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    Traccia n. 9
    (Anna Rita Borgonovi)

    LA FOTOGRAFIA




    Rientrando a casa dopo una giornata divisa tra lavoro, cura dell’orto e degli animali da cortile, aveva trovato sotto la porta una busta contenente solo una fotografia. Dopo averla osservata con molta attenzione si domandò se fosse un errore oppure no.
    Seduta al tavolo della cucina si interrogava su chi, come e perché l’avesse rintracciata dopo tanto tempo.
    Stanca di svolgere un lavoro che le aveva procurato sensi di colpa sempre più grandi, si era dimessa ponendo migliaia di chilometri tra il suo paese d’origine e la nuova residenza.
    Le avevano permesso di cambiare identità creando un passato falso ma credibile per non dar adito a domande imbarazzanti, così da lasciarsi il passato alle spalle.
    Era tardi, ma, troppo inquieta per rimanere in casa, decise di fare una passeggiata nel bosco, suo rifugio.
    La ricerca della nuova casa si era protratta per mesi, finché un giorno era capitata in un paesino alle pendici di un monte. In periferia, al limitare di un grande bosco era in vendita una casetta con un bel giardino, un orto completo di capanno per gli attrezzi e alcuni casotti ricovero per gli animali.
    Se n’era innamorata e, dopo aveva contattato il proprietario, in un mese aveva traslocato.
    La sua vita era cambiata in modo radicale: il lavoro part-time le permetteva di sostenere le spese vive mentre le risorse dell’orto e del pollaio le fornivano il necessario per il mantenimento riducendo al minimo le escursioni in paese.
    Il tempo era passato in fretta: le giornate trascorrevano serene divise tra lavoro e passeggiate nel bosco. Conosceva tutti i sentieri e gli angoli più celati, imparando a distinguere le erbe commestibili, officinali e velenose.
    Era stata informata che nel bosco abitava uno strano personaggio che faceva vita da eremita: non era pericoloso, ma poteva spaventarla. Lo aveva incontrato un giorno verso sera, quando: all’improvviso se l’era trovato davanti: un uomo trasandato dal volto grinzoso, ancora giovane ma invecchiato precocemente da una vita di stenti trascorsa in prevalenza all’aperto. Lo sguardo dolce e sereno ispirava fiducia.
    Da allora le era capitato spesso di incrociare il suo cammino: la superava, le faceva un cenno di saluto sorridendo, finché un giorno si fermò, presentandosi: “Buongiorno, mi chiamo Angelo”.
    La voce baritonale aveva una soavità che, sebbene si professasse atea, la convinse potesse appartenere a una creatura celestiale.
    Quella sera mentre camminava pensierosa sul sentiero preferito, Angelo le si affiancò silenzioso. Vedendola agitata e pensierosa la prese per mano, con dolcezza la guidò vicino a una panchina dove si sedettero a contemplare il tramonto intenso, quasi a presagire un evento traumatico.
    La mano di Angelo strinse la sua con dolcezza e in quel momento i suoi pensieri precipitarono in un vortice di ricordi.
    Cosa l’aveva spinta a diventare una killer?
    Una sera d’estate, seduta al bancone del bar sorseggiando una bibita, meditava sulle brutture del mondo e della sua esperienza di giovane donna con un’infanzia trascorsa all’insegna di violenze e soprusi perpetrati da parte di chi avrebbe dovuta amarla e proteggerla.
    Non si era accorta che qualcuno si era seduto al suo fianco, la osservava percependo lo stato d’animo e quindi iniziò a parlarle. Si esprimeva con accento straniero, scegliendo le parole adatte: sembrava leggesse nella sua mente. Descriveva le ingiustizie subite dalle vittime quando i pedofili, gli uomini violenti con le donne, gli spacciatori che vendevano droga a ignari ragazzini all’uscita di scuola, erano assolti grazie a cavilli legali che solerti avvocati, dietro lauto compenso, scovavano nei meandri della legge. Le rivelò che stava cercando persone disposte a far parte di una squadra anonima di giustizieri pronti a punire tutti i colpevoli assolti dalla legge.
    Lo aveva ascoltato con molta attenzione condividendo la frustrazione nel vedere i delinquenti farsi beffe delle vittime. Le argomentazioni dello sconosciuto l’avevano coinvolta emotivamente aumentando la delusione e, di conseguenza, il desiderio di vendetta per ciò che aveva dovuto subire in tenera età, quando nessuno era stato disposto ad ascoltarla, sminuendo i fatti e il suo dolore.
    Si era informata sul funzionamento dell’organizzazione: chi decideva l’obbiettivo da colpire, il compenso per ogni missione e dopo alcune ore, soddisfatta delle esaurienti risposte, aveva accettato di farne parte.
    Così era iniziato il suo lavoro di giustiziere della notte.
    Aveva ucciso diverse persone malvagie: riceveva le istruzioni criptate per posta o per sms, alcune volte comprensive delle armi da usare, compiti che riusciva portare a termine in senza complicazioni girando il territorio da nord a sud est e ovest, fino all’ultimo incarico.
    Avrebbe dovuto conoscere il carnefice: un genitore che aveva pubblicato le immagini del proprio figlioletto di cinque anni in un sito di pedofili la cui didascalia recitava: inizia l’asta di partenza per questo bocconcino che si concluderà fra tre ora e verrà ceduto a chi avrà lanciato il miglior rilancio. L’asta si era conclusa con una cifra da capogiro
    Le fu spiegato che trattandosi di una persona nota e inaccessibile, prima di procedere all’esecuzione era necessario avvicinarla, anche per scoprire doveva teneva nascosto il bambino e portarlo in salvo: solo dopo avrebbe potuto portare a termine la missione.
    Parlare e conoscere il carnefice le aveva fatto capire che dietro una persona violenta si nasconde sempre un bambino che a sua volta è stato vittima di violenza. Quell’uomo non doveva essere giustiziato ma aiutato e curato. Con infinita tristezza aveva portato a termine il suo compito dopo di che si era dimessa: non era più sicura che quello che stava facendo fosse la cosa giusta.
    Con fatica si era ricostruita una vita: notte dopo notte gli incubi lasciarono il posto a sonni leggeri e risvegli sereni, pieni di voglia di vivere.
    Avendo rinunciato all’amore, non aveva famiglia: era sola ed equilibrata ma quella fotografia stava rendendo inutili tutti gli sforzi fatti. Il rimorso per gli omicidi commessi riemerse: si domandava cosa fare, se autodenunciarsi e pagare il suo debito con la giustizia oppure aspettare che il karma decidesse per lei.
    Il tramonto aveva lasciato il posto alla sera e il vortice di ricordi cessò: si ritrovò nella realtà, la mano di Angelo a stringere ancora la sua.
    La guardò negli occhi e con un filo di voce disse:
    - Non sarò io a dirti quello che la tua coscienza ti dice di fare, ma sappi che se oggi sono quello che sono lo devo solo a te. Sembro un vecchio: in realtà sono quel bambino costretto dal padre a fare cose oscene. - sorrise - Se non sono diventato come lui è stato grazie a te. - una lacrima cadde sulla sua mano - Dopo essere rimasto orfano sono stato mandato in affidamento e poi in adozione, ma, diventato adolescente, ho sentito il bisogno di allontanarmi dalla gente perché stavo cadendo nella stessa spirale di papà. Mi rifugiai in questo bosco dove vissi come un eremita, lontano dal mondo tentatore. – le sorrise ancora – Vedendoti, ho capito di essere diventato una persona buona e, come me, hai salvato da una vita infelice tanti bambini, ragazzi, ragazze e donne: un numero che neanche puoi immaginare.
    Rimase in silenzio per un lungo momento, quindi si alzò:
    - Dormici su e domani, riguardando quella foto, deciderai se ignorarla o andare alla polizia”. - disse facendole una tenera carezza, poi le voltò le spalle e si inoltrò nel bosco.
    Anche lei si alzò e, riprendendo la strada di casa, decise di seguire il consiglio: la notte avrebbe portato consiglio e il mattino seguente avrebbe capito cosa fare.

    Edited by Ida59 - 7/3/2024, 16:22
     
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    (Anna Rita Borgonovi)

    LO ZINGARO



    Lo zingaro stava camminando da diverse ore.
    Era stanco.
    Non ricordava il motivo della discussione violenta che lo aveva portato a decidere di abbandonare il luogo in cui la carovana si era fermata per svernare. Avrebbero ripreso il loro viaggio itinerante solo nella tarda primavera e si sarebbero recati all’estero per unirsi a lontani parenti.
    Certo le incomprensioni dell’ultimo anno lo avevanoesasperato, spesso si era scontrato con gli adulti: non condivideva più gli obbiettivi della piccola comunità e dopo l’ultimo scontro aveva deciso di andarsene.
    Il giorno volgeva al tramonto, aveva percorso circa una trentina di chilometri, si sentiva stanco, affamato e, per la prima volta, solo.
    Deciso a non farsi trovare, aveva lasciato la strada maestra per un sentiero che, dopo aver attraversato campi coltivati, si inoltrava in un bosco dove le ombre della sera gli procuravanobrividi lungo la schiena e una sensazione di paura.
    Fermatosi a riprendere fiato pensavadubbioso: “Aveva ragione la nonna quando mi diceva di non agire mai d’impulso perché il più delle volta si rivela una scelta sbagliata?”. Alzò le spalle: non sarebbe ritornato sui suoi passi:troppo duro, per uno orgoglioso come lui,ammettere di aver commesso un errore.
    Fortunatamente aveva raccolto e messosulle spalle lo zaino,sempre pronto in caso di fuga: doveva solo trovare un posto riparato dove trascorrere la notte.
    Al risveglio avrebbe deciso se continuare ad andare avanti o tornare sui suoi passi e chiedere scusa per la bravata.
    Dopo una curva e una breve salita si apriva una valle al cui centro si stagliava il campanile di una chiesa.
    Allungò il passo per arrivare prima che facesse buio.
    Il campanile era ancora intatto, mentre della chiesa rimanevano solo unaparte del tetto, i muri perimetrali e il portale su cui era scritto:chiesa sconsacrata per mancanza di pellegrini e persone di buona volontà.
    Entrandoaveva cercato un angolino riparato, avvicinandole due panche rimaste: si sedette permangiare il frugale pasto epoi stendersi nel sacco a pelo etrascorrere la notte.
    Ad un tratto un lieve rumore di passi lo fece sussultare.
    Voltandosi vide una giovane donna impaurita, tremante dal freddo; i loro sguardi si incrociarono e,come in uno specchio riflesso,in essi videro lo stesso destino.
    “Sono un forestiero, non ho intenzione di farti del male –disse lo zingaro con un tono di voce accomodante - cercavo solo un riparo per la notte prima di riprendere il cammino: vedendo il campanile in lontananza avevo pensato fosse il posto ideale per fermarmi – poi, guardandola negli occhi domandò – anche tu sei forestiera?”.
    “Sì” rispose la ragazza che non aveva intenzione di raccontare la sua storia a uno sconosciuto. Il peso che aveva nel cuore, però, era troppo pesante, sembrava schiacciarla come un masso: pensando che,tanto,peggio di così non poteva andare, si mise a raccontare le sue disavventure.
    “Sono una sposa che sta scappando da un uomo violento. Quando è in preda alla rabbia si sfoga su di me. La mia famiglia mi ripete che in un matrimonio può succedere e che sta a me riuscire a placarlo, cercando di assecondarlo, usando sempre le buone maniere, dandogli ragione e chiedendo sempre scusa come se la colpa fosse solo mia. – un singhiozzo le sconquassò il pettoe continuò-L’ultima volta però le sue parole sono state più dure e cattive del solito, mi hanno fatto più male delle botte.- altro singhiozzo - Mi sono guardata allo specchio e ho detto basta. Il giorno dopo l’ho lasciato, - si contorse le mani - spero solo non mi trovi altrimenti per me sarà la fine - grosse lacrime le rigano il volto– sono giorni che cammino per allontanarmi il più possibile – le labbra emisero un gemito straziante–ho visto questa chiesa e ho pensato fosse un buon segno: nella casa di Dio, anche se sconsacrata,almeno per una notte nessuno mi potrà fare del male. Spero che non mi farai pentire della fiducia che ti ho accordato”
    Intanto era scesa la notte.
    Lo zingaro la rassicurò con un dolce sorriso e prima di coricarsi le offrìil poco pane e formaggio rimasto.

    Il mattino li trovò vicini vicini, La notte non aveva portato consiglio come lo zingaro aveva sperato e gli enigmi sul futuro sono ancora lì dove li aveva lasciati la sera prima.
    Aprendo gli occhi si accorse di non esserepiù solo: la giovane sposa gli era accanto. Aprì gli occhi, si guardano e sorriseropensando all’unisono che in due sarebbe stato più facile andare avanti.
    Lo zingaro le confidòdi non ricordare il motivo che loaveva spinto a scappare anziché cercare di trovare una soluzione pacifica.
    Riflesse un poco e disse: “Sapere cosa mi ha spinto a prendere questa decisione mi tranquillizzerebbe l’animo e farei pace con me stesso”.
    La ragazza rispose che poteva aiutarlo con una sorta di meditazione: lo invitò a chiudere gli occhi, concentrarsi sul giorno e l’ora in cui tutto era iniziato, cercando di non pensare a nulla, lasciando andare la mente e gli assicurò che tutto sarebbe riaffiorato come per incanto.
    Lo zingaro la guardò perplesso: non aveva mai creduto in quelle pratiche, poi, con un’alzata di spalle pensò che, tanto, non aveva niente da perdere.
    Seguì le istruzioni della giovane: si sedette incrociando le gambe, chiuse gli occhi, rallentò il respiro e anziché appoggiare le mani sulle ginocchia le infilò in tasca, dove trovò una carta da giocoal contatto della quale tutto gli tornò alla mente.

    E’ una normale domenica sera, tutti i capi famiglia sono stati chiamati perriunirsi nella grande roulotte del più anziano per comunicazioni urgenti.Devono decidere quale sarà la prossima destinazione. Il luogo in cui si trovano è buono ma, contrariamente alle previsioni non possono fermarsi più a lungo.Giorni prima è stato loro comunicato di essereindesiderati e, alfine di evitare spiacevoli situazioni, sonoinvitati a riprendere il viaggio il più presto possibile.
    Il padre dello zingaro torna dalla famiglia comunicandole decisioni prese:da domani cominceranno a smantellare l’accampamento. Per non dare l’impressione di scappare partiranno scaglionati e seguiranno direzioni diverse: si ritroveranno tutti insieme l’anno prossimo in un luogo ancora da definire.
    Lo zingaro chiede al padre se Ariennye sarebbe andata con loro: d’accordo con lei, sta spettando di avere l’età per presentarsi dal futuro suocero e chiederla in moglie. Il padre scuote la testa: siccome da sempre è promessa sposa al figlio del capo della carovana, lei e la sua famiglia viaggeranno con loro.
    Il ragazzo non ci vede più dalla rabbia e si precipita da Ariennyeper chiederle spiegazioni, ma incontra suo padre.
    Inizia una accesa discussione e tutto l’accampamento accorre per vedere che sta succedendo. Gli animi vengono placati prima che si degeneri in una scazzottata.
    Lo zingaro pieno di rancore con il mondo intero corre verso la sua roulotte: davanti la porta, posata per terra,la carta del Matto lo guarda, pare gli faccia l’occhiolino:vicino,un piccolo specchiorimanda la sua immagine e pare dirgli:”Seiun bel giovane, pieno di vita, questo mondo e le sue vecchie tradizioni non fanno più per te, va incontro a nuove avventure e non voltarti indietro”.
    Dopo un momento di esitazione, infila tutto in tasca e, con l’incoscienza della gioventù, andandosene volta le spalle alla sua gente certo di non rivederli più.

    Il ragazzo riapre gli occhi e guarda la giovane accanto a lui, dalla tasca estrae la carta sgualcita e il piccolo specchio.
    Le disse di aver ricordato tutto, di non voler tornare sui suoi passi e,visto che entrambi stanno fuggendo, le propose di farlo insieme: sarà più facile affrontare un futuro incerto, ma pieno di avventure; e quando arriveranno in un luogo che sentiranno essere casa, si fermeranno.
    Lo zingaro si rimise lo zaino sulle spalle lasciando sulle panche la carta e lo specchiodove ancora permaneva riflessa l’immagine dei due giovani.

    Edited by Ida59 - 19/12/2023, 19:04
     
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    Compito delle vacanze numero 2
    Zingara / sposo / chiesa sconsacrata / specchio / carte da gioco.

    Zingara

    1



    Nella bassa campagna lombarda, in uno spiazzo erboso tra risaie e campi di mais, si scorge una piazza a forma di pentacolo in mattoni rossi. Posati da mani esperte, quando ancora venivano cotti a mano a uno a uno, ora il tempo li ha masticati, rilasciando una leggera e impalpabile cipria rossa.
    Tra le fessure. Erbe e fiori seccano al sole, emanando un triste senso d’abbandono.
    Nella polvere si intravede la sequenza geometrica nella diversità cromatica dei rossi che delinea una stella a cinque punte.
    Nel lato nord un edifico diroccato: una vecchia chiesa sconsacrata, priva della sacra reliquia nell’altare, depredata e vandalizzata, senza arredi e dipinti, appare come un vecchio sdentato.
    La mensa risalta macabra di pennellate nere dalle forme oscene.
    Il tetto, realizzato a cassoni con tavole di lavagna, è decrepito e sfondato, rischiando il tracollo a ogni alito di vento.
    Il cielo srotola lo scuro sipario della notte: le rane gracidano, i grilli friniscono, i corvi volano bassi in un gioco monello, sfiorando le rovine per poi risalire.
    È una notte speciale.
    Nell’equinozio di primavera, la festa della purificazione, si celebra il ritorno alla fertilità: il sabbat, ovvero il giorno della venerazione, del potere, è la festività di Ostare, quando il sole attraversa l’equatore procedendo verso nord.
    Nell’antichità, per l’occasione, le sacerdotesse della dea celebravano un rito che involveva l’accensione di un cero simboleggiante la fiamma eterna dell’esistenza. Il cero, all’interno dei templi, lo spegnevano solo all’alba del giorno seguente.
    La luce e il buio diventano uguali e la terra comincia a cambiare.
    Quella sera un vento soave spargeva odori di terra ed erba appena tagliata.
    In modo improvviso si tramutò in vortice, raggiungendo il centro del piazzale di mattoni; più la notte avanzava, più il vento si alimentava gonfiandosi.

    2



    Masilda (potente in battaglia) si rimirava nello specchio appeso nella tenda da campo. Zigomi alti e moreni, occhi dal taglio orientale, adorni di piccole pagliuzze d’oro, brillano alla luce tremula delle candele.
    Il grande giorno è arrivato: oggi sarà la splendida giovane sposa di Menowin, (forza, amicizia), fra poche ore, finalmente, dopo grandi lotte tra le tribù, riusciranno a costruirsi la loro vita d’amore.
    Le due famiglie zingare dei due ragazzi da tempi antichissimi lottano per i confini delle terre dove in inverno stanziano con le rispettive etnie.
    Durante le lunghe notti di discussioni, i due giovani si erano conosciuti e desiderati, combattendo per la felicità, fino a che le due famiglie capitolarono e accondiscesero alle loro nozze.
    Attorniata dalle amiche più care, dopo essersi rimirata per l’ultima volta nel pregiato specchio che da generazioni accompagna le giovani spose della tribù, Masilda prende la grande stoffa di juta grezza e copre lo specchio: così sarebbe rimasto fino a dopo il matrimonio.
    Specchio testimone del suo viso da fanciulla e, dopo, di donna.
    Accende il sacro cero della vita e poi, con lentezza, apre la tenda; fuori tutto è perfetto, lo sposo in attesa.
    Il sogno si realizza.

    Sul piazzale a stella della chiesa, il suono di melodie gitane riempie l’aria.
    Masilda indossa un abito rosso vaporoso di veli sovrapposti, è scalza e un velo nero finemente ricamato nasconde i lunghi cappelli corvini. Incede lenta sui mattoni rossi.
    Attorno giovani donne e uomini, scalzi, danzano, come piume mosse dal vento.
    Al margine giunge con passo fiero Menowin, camicia bianca, pantaloni aderenti, scalzo.
    Dietro ragazzi giovani della sua tribù.
    Gli sposi si avvicinano, congiungono le mani e la cerimonia ha inizio.

    Chiudono la tenda; finalmente si abbracciano con tutto l’impeto generato dalla lunga attesa nei giovani corpi.
    Scivolano i vestiti alla luce fioca del grande cero sacro.
    Masilda e il suo sposo provano l’estasi dell’amore carnale in un susseguirsi di carezze e baci sempre più profondi e sensuali.
    Il mattino dopo li trova abbracciati ed esausti, spossati da una dolce debolezza.
    Le voci fuori dall’accampamento reclamano lo sposo per i compiti di rito.
    Menowin non più ragazzo, ma uomo, esce dalla tenda e affronta gli amici col sorriso migliore mai pensato.
    Nell’accampamento iniziano i festeggiamenti per soli uomini, mentre le ragazze con risolini scherzosi vezzeggiavano Masilda, ricordandole lo specchio ancora coperto, in attesa del suo sorriso di donna.
    Con orgoglio e fermezza prende tra le dita il telo.
    Un grido la raggela.

    Urla di donne, trambusto di legni, la voce di Menowin che tuona sopra il clangore:
    - Non osare sfidarmi Omar, oggi è giorno di festa per le nostre tribù – Sbraita il giovane sposo lanciando sul tavolo le carte da gioco.
    Una banale, forse voluta discussione durante una partita a carte, un acceso alterco ha portato i giovani all’offesa diretta.
    Masilda scosta la tenda, esce senza fiato, il tempo sufficiente per vedere Omar che, con un fendente colpisce al fianco il suo sposo.
    Nel trambusto generale, Omar, con il sangue che gli macchia la camicia candida, corre via, inseguito dai suoi per proteggerlo dall’ira della “famiglia”.
    Masilda accorre, accogliendo nei palmi il volto contratto di dolore di Menowin.
    Ascolta le ultime parole dell’amato:
    - Ti amo, non dimenticarmi.
    Mentre il suo sposo esala l’ultimo respiro, rovescia un grido di dolore così forte che la valle tutta ne risuona.


    3



    Passano giorni o forse mesi, quando affiora da quel torpore assurdo, dove vagava muta e sorda, annegata nel buio fluido, di una nuvola di notte.
    Distante, spesso sentiva voci che la chiamavano, la inducevano ad affrontare la realtà.
    Piano piano riemerge: lei stessa non saprebbe raccontare come, dal nulla, riapre gli occhi e affronta la realtà.
    Sposa di una notte e vedova per sempre.
    Nessun abbraccio ad accoglierla, nessun bacio a consolarla.
    Lo specchio ancora coperto la riporta al triste ricordo del grido del suo sposo.
    Si alza trascinando il corpo debole, inutile, fino alla sedia di fronte al telo, segno che ciò che è successo è realtà.
    Le dita rattrappite artigliarono la juta: con uno strappo veloce scivola a terra mostrando un volto di donna di forse cent’anni, o forse già morta.
    Qualcuno solleva la tenda e si mostra; la madre accorre per sorreggerla mentre Masilda sviene piangente.
    La notizia della morte di Menowin raggiunge tutte le tribù delle terre confinanti, scivolando come un’ombra nera da un accampamento all’altro.
    Le due famiglie battagliano in ogni dove.

    Si narra che fu uno sterminio, consolidando la ferrea separazione delle due tribù.
    La madre lavò Masilda e la nutrì per giorni, finché decise che era giunto il momento che reagisse al dolore prendendo in mano le redini del suo gruppo.
    - Cara mia dolce figlia, – disse la donna con piglio deciso – basta piangere è ora di darsi da fare, molta gente dipende da te.
    In qualità di regina della tribù aveva il potere di decidere, era necessario prendere le redini del gruppo. Masilda, appesantita dal dolore e dalla responsabilità, salì i pochi gradini per raggiungere il palco di legno improvvisato.
    Emise un sospiro doloroso e profondo, poi parlò con voce ferma al popolo mesto affollato attorno.
    - Mi hanno tolto la ragione di vita, il mio amato. Da questo momento mi dedicherò a voi, la Mia gente.
    Masilda regnò con successo per molti anni; non concesse a nessuno il suo cuore, il suo amore per Menowin rimase eterno.
    Ogni anno, nel suo ricordo, all’equinozio di primavera celebrava un rito sul piazzale del luogo che la vide felice una sola volta nella vita, in memoria del suo unico amore.
    Violini gitani e giovani coppie ballavano e lei in mezzo, a occhi chiusi, intrecciava i suoi veli, in una triste danza dal ritmo lento e maestoso, immaginando il suo uomo vicino.


    4



    Sono passati molti anni da quel giorno funesto delle nozze; da allora, nella notte dell’equinozio, il piazzale con il pentacolo si anima magicamente con gli elementi della natura che perpetuano il rito dell’amore.
    Il vento danza sui mattoni rossi formando vortici sibilanti, simulando il suono di violini zigani.

    Edited by Ida59 - 4/4/2024, 21:16
     
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