Compito: una strega malvagia, nella sua caverna sulla rupe, sta creando una potente pozione in grado di far diventare invisibile chi la berrà. Descrivete la scena e gli ingredienti della pozione.
È il numero tatuato sull?avambraccio sinistro.
L?hanno impresso il primo maggio del 1943, e quel giorno ho perso i miei genitori.
Una donna vestita di grigio mi ha strappato in malo modo dalle braccia di mia madre, trascinando me e mia sorella Esther sotto un androne colmo di bambini nudi.
Tutti i vestitini vennero accatastati all?entrata, compreso il mio caldo cappottino azzurro dal colletto giallo, come la grande stella di David cucita col filo color pavone.
Assiepati e tremanti ci hanno rasato e inciso sulla pelle chiara questo segno blu, indelebile.
Ma non tutti.
Solo fratelli e sorelle o gemelli venivano marchiati; gli altri, rigati di lacrime sui visi sporchi, furono accompagnati in fila, mano nella mano, al lontano limite del campo e non li vedemmo mai più.
Adélaïde era il nome della donna grigia che condusse i pochi rimasti in una baracca di legno vicino all?infermeria, rivestendoci con camicioni a strisce: il mio era talmente abbondante che inciampavo continuamente, e questo la fece ridere di gusto.
A lei regalai l?ultima biglia di vetro, screziata di rosso. L?avevo in pugno da giorni.
Fummo accolti da bambini magri stesi su pagliericci terrosi e i loro grandi occhi si sollevarono a malapena per esaminarci; poi, con gesti lenti e rassegnati, continuarono a impegnarsi in giochi fatti di nulla.
Esther ed io trovammo posto stringendoci a vicenda; senza forze ci accarezzavamo e ci baciavamo sulla fronte, sulle guance, nelle mani.
- Leon. Leon. Leon. ? Ripeteva lei, per non perdere quel poco di affetto rimasto.
Di frequente un volto di cera dalla divisa nera, guidato da Adélaïde, ci ispezionava sollevando il mento con un bastone: parlottavano e a volte ne rubavano alcuni, spinti fuori da divise verdi.
Stranamente noi due eravamo invisibili. La donna si parava davanti e indicava altri bambini.
Esther raccoglieva piume, sassolini o fiorellini, e assieme, circospetti, li appoggiavamo sul davanzale della finestra della donna grigia: lei osservava compunta, apriva i battenti e raccoglieva i doni infilandoli in un cilindro di metallo.
Guardando attentamente attorno, ci allungava un involto di cibo.
Rimanemmo invisibili finché non arrivarono altri soldati dalle divise khaki e dagli occhi sgranati.
Loro erano commossi; noi, sopravvissuti, eravamo svigoriti e vivi.
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È il numero tatuato sull?avambraccio sinistro.
L?hanno impresso il primo maggio del 1943, e quel giorno ho perso i miei genitori.
Una donna vestita di grigio mi ha strappato in malo modo dalle braccia di mia madre, trascinando me e mia sorella Esther sotto un androne colmo di bambini nudi.
Tutti i vestitini vennero accatastati all?entrata, compreso il mio caldo cappottino azzurro dal colletto giallo, come la grande stella di David cucita col filo color pavone.
Assiepati e tremanti ci hanno rasato e inciso sulla pelle chiara questo segno blu, indelebile.
Ma non tutti.
Solo fratelli e sorelle o gemelli venivano marchiati; gli altri, rigati di lacrime sui visi sporchi, furono accompagnati in fila, mano nella mano, al lontano limite del campo e non li vedemmo mai più.
Adélaïde era il nome della donna grigia che condusse i pochi rimasti in una baracca di legno vicino all?infermeria, rivestendoci con camicioni a strisce: il mio era talmente abbondante che inciampavo continuamente, e questo la fece ridere di gusto.
A lei regalai l?ultima biglia di vetro, screziata di rosso. L?avevo in pugno da giorni.
Fummo accolti da bambini magri stesi su pagliericci terrosi e i loro grandi occhi si sollevarono a malapena per esaminarci; poi, con gesti lenti e rassegnati, continuarono a impegnarsi in giochi fatti di nulla.
Esther ed io trovammo posto stringendoci a vicenda; senza forze ci accarezzavamo e ci baciavamo sulla fronte, sulle guance, nelle mani.
- Leon. Leon. Leon. ? Ripeteva lei, per non perdere quel poco di affetto rimasto.
Di frequente un volto di cera dalla divisa nera, guidato da Adélaïde, ci ispezionava sollevando il mento con un bastone: parlottavano e a volte ne rubavano alcuni, spinti fuori da divise verdi.
Stranamente noi due eravamo invisibili. La donna si parava davanti e indicava altri bambini.
Esther raccoglieva piume, sassolini o fiorellini, e assieme, circospetti, li appoggiavamo sul davanzale della finestra della donna grigia: lei osservava compunta, apriva i battenti e raccoglieva i doni infilandoli in un cilindro di metallo.
Guardando attentamente attorno, ci allungava un involto di cibo.
Rimanemmo invisibili finché non arrivarono altri soldati dalle divise khaki e dagli occhi sgranati.
Loro erano commossi; noi, sopravvissuti, eravamo svigoriti e vivi.
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