Il segreto di Ida

  1. Laboratorio di scrittura con lettura emozionale - testi dei miei allievi

    DanielaN-StregaMelusina
    Foto di Viva la vida!!! Rosa Matilde Peppi da Pixabay


    La strega Melusina


    Povera me! Povera Melusina! Ho combinato un bel pasticcio. D’accordo, sono una strega, ma sono ancora una apprendista. Tutti continuano a dirmi di fare esercizio, ma questa volta l’ho fatta grossa.
    Questa mattina mi stavo guardando attorno nella mia bella caverna, così buia e fumosa, piena di spifferi come soffi di morte. Il disordine, però, stava diventando inaccettabile: non riuscivo a trovare nulla in quel guazzabuglio di erbe velenose e cesti di rovi. Le ragnatele erano talmente intricate che i miei poveri pipistrelli non riuscivano più a volare. Persino la mia gatta Melisandra se ne stava fuori, vicino allo stagno. Per farla breve, in un cassetto, pieno di vermi, ho trovano una bacchetta senza magia. Ho pensato a un incantesimo per farla diventare una bacchetta delle pulizie; non pretendevo di farla diventare una Forrester. Probabilmente ho esagerato con gli ingredienti e questo è il bel risultato.
    La caverna è in ordine perfetto, ma non è più una caverna: è una linda casetta, allegra e luminosa, circondata da un giardino di rose aulenti, con una siepe di gelsomino fragrante. Il mio pentolone, nero come il piombo antico, adesso è di rame lucente. Non basta: il mio putrido stagno è diventato un laghetto cristallino abitato da due cigni eleganti e quattro anatroccoli giocosi. I miei rospacci ruttanti si sono Trasformati in raganelle canterine. Non ho risparmiato nemmeno Melisandra, la mia gatta nera e tignosa, con gli occhi di brace; ora è una gattina bianca con quattro zampette nere come scarpine. Il cielo è azzurro con qualche nuvoletta soffice e bianca: cielo di maggio. Ho trasformato il mio mondo di strega, lugubre e solitario, in una bella radura soleggiata nella più intricata, buia, ventosa e spaventosa delle foreste.
    Mi sono guardata allo specchio: potrei fare invidia a Biancaneve.
    Devo rimediare: fra tre giorni ci sarà un sabba, guarda caso proprio a casa mia. Sarà l’esame per diventare strega di primo grado. Non posso certamente servire il decotto di edera velenosa e ortica piccante, accompagnata da pasticcini di sterco di lombrico africano con glassa di bava di pitone, adatte alla circostanza, in una casa come questa.
    L’unica cosa che si è salvata in questo disastro è l’amuleto che mi ha regalato la mia madrina Lilith, demone feroce e potentissimo. Il mio amuleto contiene tre gocce di sangue di drago di Lucifero: nessun incantesimo può colpirlo.
    Devo tenerlo stretto fra le mani: pensa, Melusina, pensa.
    Se devo essere sincera questa situazione non mi dispiace del tutto. Qualche giorno fa ho visto passare un bel giovane che si era perso nella foresta; appena mi ha vista è scappato a gambe levate. Posso capirlo: avevo l’aspetto di strega. Questo episodio mi ha fatto pensare: nessuno (intendo nessuna strega) è mai riuscito a descrivermi l’amore, quello fra gli umani. Sarebbe interessante capirne di più e quel giovane mi sembrava un soggetto adatto. Vorrei anche evitare, se dovessi morire anzitempo, di diventare una demonietta di Mesopotamia. Non sapete chi sono questi spiritelli? Si tratta di quelle fanciulle che muoiono vergini e, siccome non hanno provato le gioie dell’amore e del sesso, di notte stuzzicano i maschi umani. Una vera noia in eterno.
    Devo pensare a un incantesimo per conservare per un po’ di tempo questo aspetto e la mia casetta, rendendoli invisibili a occhi pericolosi. Al tempo stesso devo fare in modo che qualsiasi strega, anche apprendista, veda me e il mio mondo come se fossi solo una strega.
    Se stringo forte il mio amuleto i demoni di Ninive e Babilonia mi aiuteranno.
    Voglio controllare bene quale fosse il mio aspetto di strega prima del disastro. Ecco qua il mio specchio di vetro di luna, lo specchio del ricordo.
    Capelli: stoppie dal colore senza nome, luridi e unti che nemmeno il pidocchio più disperato potrebbe abitare; naso: adunco con tre porri pelosi sparati a caso; bocca: una scucchia che, quando piove, mi fa bere senza bicchiere; mani: le dita sembrano ulivi antichi e contorti con unghie come scalpelli arrugginiti; abito: lasciamo perdere il colore che non si vede sotto la sporcizia; una tasca piena di vermi di palude, nell’altra una bella raccolta di insetti brulicanti i; piedi: l’orgoglio di mia madre, zampe di rapace come zia Lilith.
    E ’ora di mettersi all’opera.
    Ecco qua il mio pentolone di rame lucente. Il fuoco alchemico è spento: perfetto per un incantesimo duplice e al contrario.
    ComincIo buttando gli ingredienti a caso, così come mi vengono in mano: due scarabei della tomba di Tutankamen ben tritati, uno scorpione fresco della mummia di Hatshepsut, due spruzzi di ululato di lupo gelato, ragnatele di Gopbekii Tepe, vischio di Stonenge, qualche pezzetto di mandragora urlante, alito di Loch Ness, polvere di Plutone, due piume dei corvi della torre di Londra, tre gocce di uranio impoverito, l’ultima novità.
    Manca una nota di positività: può funzionare un ciuffo di crini di unicorno.
    Per ultimo, invece del fuoco alchemico, ghiaccio imperituro delle Montagne della Luna
    Nessuna formula magica pronunciata: le parole sono pericolose, qualcuno potrebbe sentire.
    Adesso mescola e mesci, mescola e mesci e rivolta tre volte.
    Si alza uno sbuffo di fumo bianco che si allarga pian piano; che strano: in alto diventa rosso e ha l’aspetto di un fungo appetitoso. Che sciocca: è un fungo mortale e velenoso.
    Il fumo si spande, esce nel giardino fiorito e sale nel cielo di maggio.
    Forse ho fatto un altro pasticcio: non è cambiato niente.
    All’improvviso sento le voci dei demoni di Ninive e Babilonia che mi sussurrano: “Stringi forte il tuo amuleto, Melusina e vedrai come vede una strega”.
    E’ vero: ecco la mia caverna, il pentolone nero e ammaccato, i pipistrelli nel loro angolo, è tornato il gufo accompagnato da due corvi e Melisandra è di nuovo nera e tignosa. In giardino i rovi spinosi sono al loro posto e così anche l’edera velenosa; la mandragora è giù in fondo con le erbe magiche. Lo stagno è putrido e maleodorante, un luccio vorace insidia i ratti sprovveduti, i rospacci sono numerosi. Il cielo è plumbeo, solcato da lampi minacciosi; sullo stagno aleggia una nebbia fluttuante come veli da sposa dell’Ade.
    E io? Dov’è lo specchio del presente? Capelli, naso, bocca, mani, vestito: tutto a posto. Chiamo Melisandra: la mia voce è gracchiante e catarrosa.
    Perfetto.
    Pensandoci bene, se l’esperimento con il giovanotto avesse un buon risultato, potrei anche decidere di diventare una fata.
    Melusina non è un nome da strega.

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