In questa discussione i partecipanti al laboratorio di scrittura creativa, che da alcuni anni tengo all'Unitre Vigevano, inseriscono i loro testi dopo le mie correzioni.
Sono racconti di diverse lunghezze, da brevi a racconti suddivisi in capitoli.
Non tutti gli allievi hanno acconsentito alla pubblicazione: i loro testi non compaiono quindi nell'elenco.
Cliccate sull'anno che vi interessa per avere l'elenco con i link ai racconti di quell'anno.


Anno 2019/20

Allievi: Raffi, DanielaB, AnnaRita, Cinzia, MG51, Pierluigi, Domenico, Marilena


Anno 2020-21

Allievi: Raffi, DanielaB, AnnaRita, MG51, Pierluigi, Domenico, DanielaR


Anno 2021-22

Allievi: Raffi, DanielaB, AnnaRita, MG51, Pierluigi, Domenico, DanielaR, DanielaN


Anno 2022-23

Allievi: Raffi, DanielaB, AnnaRita, MG51, Pierluigi, Domenico, DanielaR, Morgan, Giovanni, Laura, Ada

IMPOSSIBILE
TERZO FINALE

L’uomo della giostra.
Così mi battezzarono in questo villaggio nel bel mezzo dell’Amazzonia, e c’era motivo per capitare qui.
Da decenni bazzicavo in quest’arcipelago di foreste alla scoperta di nuove essenze per i profumieri europei e, tempo addietro, tramite racconti nebulosi di barcaioli che giungevano al porto di Macapà, ero venuto a conoscenza di una pianta miracolosa, le cui proprietà ammutolivano i farmaci.
All’epoca non ero mai riuscito a scovare il luogo preciso in cui trovare questo elisir, ma era giunto il momento di scoprire se le dicerie corrispondessero a verità.
Nonostante l’età avanzata, lo spirito d’avventura m’investì con la sua frenesia e partii verso l’ignoto con l’ansietà del principiante; mi assaliva ancora l’adrenalina, come ai vecchi tempi, e l’affanno per la scoperta diventava sempre più pressante.
Ma quest’ultimo viaggio era necessario: mi occorreva un prodigio.
Già da due settimane mi aggiravo nelle anse del Rio Marimari condotto da Florindo, un barcaiolo retribuito lautamente, il quale m’assicurò di conoscere il territorio da cui proveniva la prodigiosa spezia, ed era forse l’unico in grado di raccapezzarsi fra questo dedalo di acque; beveva birra, calda come piscia, e sputacchiava, imprecando continuamente verso non si sa chi.
Le varie lozioni antizanzare duravano il tempo di una sudata, e poi era un continuo schiaffeggiarsi, più per vendetta che non come risultato, finché l’indio non mi propinò una pappetta giallina.
Pensavo fosse da spalmare e, infatti, affondai le dita nel recipiente ma, aggredito dalla sua risata, e tramite gesti inconfutabili, mi resi conto che avrei dovuto ingurgitarla. Uno schifo nauseabondo m’impastò la bocca, ma la sua insistenza mi fece capire che non sarei morto; lui ne faceva altrettanto uso, quindi, pur col voltastomaco, la cacciai giù e, inaspettatamente, per diverse ore gli insetti mi lasciarono in pace.
Alfine giunsi presso un gruppo di casupole sulla riva del fiume, e fummo accolti da un gruppetto di bambini che, tuffandosi, circondarono la barca con schiamazzi gioiosi; nel frattempo pure gli adulti si avvicinarono e, con lena, trasbordarono alcune ceste e scatole con un’allegria ammirevole.
Da quando, anni fa, intrapresi quest’attività, quasi per gioco, ero abituato a spettacoli del genere, ma mi sorprendeva sempre l’entusiasmo con cui gli indios accoglievano le persone e gli oggetti che per noi, civilizzati, erano di uso comune.
Tramite cenni inconfondibili del battelliere, capii essere giunto a destinazione.
Pur non parlando nessun dialetto locale, mi arrangiavo con lo spagnolo amazzonico, un po’ di portoghese e soprattutto con i gesti, lingua madre di ogni viaggiatore.
Chiesi di es...

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